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Covid-19 ed expat: tra psicologia ed autorganizzazione delle comunità

 
 

Il livello di attenzione sulla sensibile tematica della Salute Mentale è in crescente aumento in questa fase di pandemia da Covid-19. Lasciando da parte la retorica governativa, i professionisti e gli studiosi si stanno confrontando su come ottimizzare efficacemente e qualitativamente gli interventi, nel tentativo di ridurre e gestire quei significativi fattori di rischio, tra i quali: ansia, depressione e sintomi post-traumatici da stress che potrebbero degenerare in atti suicidari. 

In questo aggiornamento abbiamo intervistato un’altra coppia di psicologhe per capire meglio l’argomento e osservare le criticità. Oggi, sempre con l’aiuto di professioniste, osserveremo le dinamiche delle piccole realtà locali che si organizzano, anche per osservare la realtà nazionale avendo un quadro più completo, rapportando il micro al macro per capire quali sono le reali necessità della popolazione.

Come abbiamo già detto in precedenza, alcune comunità che abitano quella torre di Babele chiamata Londra (ma non solo) si sono sentite vulnerabili e hanno deciso di  organizzarsi per fornire un supporto emotivo e concreto, dimostrando ancora una volta quanto la retorica governativa possa essere facilmente smentita dalla realtà dei fatti. Se, infatti è vero che i singoli borough si sono adoperati per supportare le comunità locali, non tutti riescono ad accedere ai servizi di base, mentre la crisi da Coronavirus continua a colpire l’economia.

Questa crisi è osservata con preoccupazione a livello globale e, come osserva anche Il Sole24Ore, tocca maggiormente le fasce più basse della piramide sociale. Una variabile fondamentale della disperazione infatti è il livello di reddito: questo è maggiormente visibile in quei paesi in cui il divario tra classi povere e ricche si allarga da decenni. Enrico Marro, nel suo articolo riporta: «Il risultato è quello mostrato da uno studio della Kaiser Family Foundation: nella fascia di reddito inferiore ai 40mila dollari, un cittadino su quattro segnala problemi psicologici legati alla pandemia, ma per chi guadagna oltre 90mila dollari la percentuale del disagio si dimezza al 14%». Questo divario è ben visibile, e dunque osservato, anche in UK. Non bisogna dimenticarsi di osservare il contesto, che fa emergere criticità di sistema nei meccanismi di intervento pubblico e risulta essere sempre più escludente.

Foto dell’autrice (Alice Castiglione)

A questo proposito sono nati diversi gruppi gestiti dalle stesse comunità di stranieri: si contano infatti gruppi di supporto per le diverse comunità. In una di queste iniziative di supporto è coinvolta la dottoressa Emanuela Rossi, Psicologa e Terapeuta Familiare Sistemico-Relazionale in pratica privata a Londra che insieme ad altre persone si è attivata per arrivare dove il sistema non arriva: supportare concretamente alcune fasce di popolazione. La dottoressa Rossi, infatti, per professione si occupa di supportare principalmente coppie e genitori italiani che si trovano in difficoltà emotiva, sociale e occupazionale.

Il gruppo di supporto si chiama Aiutarsi a Londra ed è, per usare le parole della dottoressa Rossi, «un gruppo di Italiani a Londra che si costituisce spontaneamente sulla piattaforma Facebook con la finalità di supportare connazionali in difficoltà in fase di Pandemia da Covid-19. Il supporto include interventi in caso di: carenza di cibo, ausilio di richiesta Universal Credit e burocrazia, ricerca di un lavoro di continuità o di un posto letto d’emergenza, oltre a supporto emotivo e psicologico. Ci siamo organizzati da remoto e sulla base delle adesioni spontanee al gruppo, sia di chi pensa di poter aiutare sia chi invece ha la necessità di essere aiutato. Sono state preposte delle semplici ed efficaci linee guida per il coordinamento e la gestione. Una volta stabilite la tipologia di esigenza e la zona di residenza si cercano dei possibili aiuti in quell’area e ci si mette in contatto. La persona disposta ad aiutare diventa una sorta di tutor per la persona in difficoltà. Stiamo risolvendo con successo situazioni di molti connazionali in difficoltà».

«Siamo una realtà comunitaria abbastanza numerosa nel Regno Unito, un significativo “sotto-sistema nel sistema”, nell’insieme mutualmente collaborativo, abbastanza “impanicato” e scettico nella gestione delle misure restrittive preposte dalle Autorità Britanniche in fase di Pandemia da Covid-19. Il Regno Unito tende a muoversi attraverso “evidence based models”. Questo vale anche per la delicate questioni della Salute Mentale dove l’approccio preminente è di tipo (esclusivamente) “Cognitivo Comportamentale”. Personalmente, ritengo che un approccio integrato di tipo sistemico, cognitivo-comportamentale e psico-dinamico possa essere una più valida ed efficace risorsa nella risoluzione di difficoltà psico-emotivo-comportamentali». 

A tal proposito, il consiglio della psicologa è in generale quello di focalizzarsi sulle piccole cose che creano serenità. Qui un breve elenco di consigli:

  1. Trovare cose divertenti da fare a casa;
  2. Coltivare pensieri positivi e stare in contatto con i nostri sensi che sono la nostra finestra sul mondo in termini di afferenze ed efferenze al nostro Sistema Nervoso Centrale;
  3. Seguire le linee guida delle Autorità Competenti (who);
  4. Aggiornarsi sulle news 1 volta al giorno – evitare il sovraccarico di informazioni.

Cecilia Carlotti, dottoressa in psicoterapia ad indirizzo psicodinamico in ambito privato a Londra, si occupa da più di dieci anni di salute mentale. Nello specifico, si occupa di trattare problematiche sul piano emotivo, sintomi di depressione e/o ansia, attacchi di panico e dinamiche relazionali complesse. In questa intervista ci ha aiutato a chiarire alcuni punti su questi temi.

«Sebbene sia presto per valutare empiricamente l’incidenza effettiva della pandemia sul rischio di suicidio, è quasi impossibile pensare che non vi sia una correlazione. E’ importante ricordare che il rischio di suicidio è sempre conseguente a una moltitudine di fattori e non riconducibile ad una singola causa, per cui la pandemia di per sé difficilmente diventa un fattore scatenante in soggetti normalmente stabili che non presentino trascorsi di vulnerabilità’ psichica e/o sociale; tuttavia, è noto che la condizione attuale comporta l’incremento di fenomeni ad alto potenziale stressante quali: l’isolamento, le difficoltà economiche, la perdita momentanea o definitiva di affetti e/o di reti di supporto, l’incremento di situazioni legate ad abusi domestici di vario tipo. Da non sottovalutare inoltre la condizione di incertezza generale e l’impossibilità’ di prevedere l’evolversi degli eventi, che nei soggetti in condizioni di fragilità comporta inevitabilmente sentimenti di sconforto e perdita di speranza, difficili da gestire senza un aiuto.

Ancor prima di valutare le stime, ritengo che alcune fondamentali misure dovrebbero essere adottate per contenere il fenomeno. In generale, tra le misure più importanti che un professionista della salute mentale dovrebbe assolutamente attuare quando entra in contatto con un paziente, vi è proprio la valutazione del rischio e l’individuazione di situazioni potenzialmente pericolose per il soggetto. La prevenzione e il supporto precoce sono aspetti fondamentali per la salvaguardia di individui a rischio, a prescindere dal contesto e dagli eventi circostanti, ma particolarmente in un momento storico come quello che stiamo attraversando. Essendo l’Italia uno dei primi Paesi europei ad essere stati violentemente colpiti dal COVID-19, la maggioranza degli italiani residenti in UK ha anticipato che le conseguenze della pandemia sarebbero state devastanti; molti hanno messo in atto misure preventive di distanziamento sociale ancor prima che queste venissero stanziate dal governo. L’impressione è che, almeno inizialmente, sia stato largamente adottato un atteggiamento di maggiore prudenza rispetto ai cittadini inglesi al fine di salvaguardare la propria salute e limitare il rischio di contagio – scelta spesso supportata a distanza dalle famiglie in Italia.

Sul piano della salute mentale, tuttavia, potrebbero esserci ulteriori fattori di rischio legati all’impossibilità di potersi ricongiungere con affetti e familiari residenti in Italia nel breve termine. Credo sia importante considerare che a causa dell’emergenza in corso e delle relative misure che restringono la possibilità di viaggiare la paura, fondata o meno, di non poter rivedere i propri cari, sia presente in misura diversa e a vari livelli più o meno in tutti noi.

La dottoressa Cecilia Carlotti

Come questa possa associarsi all’evoluzione di sintomatologie più gravi e a un potenziale rischio suicidario dipende dal livello di fragilità psichica del singolo. Soggetti con pregressi disturbi mentali quali ansia, depressione, disturbi post-traumatici da stress o disturbi di natura psicotica, sono quelli più’ a rischio di esacerbazione dei sintomi. Particolare riguardo dovrebbe essere dato a pazienti che in passato hanno già’ espresso ideazioni suicidarie e/o messo in atto tentativi di suicidio, in quanto l’isolamento associato alla perdita di motivazione e certezze sul futuro diventano un potente trigger. Stesso concetto applicabile, ad esempio, a soggetti anziani vulnerabili o provenienti da contesti sociali svantaggiati. Basti pensare che con il lockdown viene meno la possibilità di accedere a servizi comunitari che per molti costituiscono un’importantissima risorsa di supporto pratico, economico ed emotivo.

Da non tralasciare poi famiglie e situazioni con potenziale abusivo,  spesso già note ai servizi sociali, ove il lockdown facilmente intensificherà condizioni di aggressività e violenza. Senza entrare nel merito della politica, ritengo che le misure esistenti al momento per supportare soggetti vulnerabili siano insufficienti sia sul piano dell’intervento che, soprattutto, della prevenzione. Le linee indicate dal sito del governo e dal National Health System riportano suggerimenti su come attenuare e contenere situazioni di difficoltà e crisi identificate, spesso delegando ad helplines e gruppi di supporto gestiti da charities con personale ridotto che – però – a loro volta, rischiano di ritrovarsi sopraffatte dalle richieste e privi di un concreto supporto che consenta il mantenimento delle risorse e lo sviluppo di nuovi ed efficaci metodi di intervento. Al contempo, così come è stato stabilito che la prevenzione è il miglior modo per salvaguardare la salute fisica dei cittadini, sarebbe cruciale non sottovalutare la prevenzione relativa alla salute mentale, specialmente per categorie a rischio come quelle citate sopra.

Vorrei concludere con un brano tratto dal Libro Rosso di Carl Gustav Jung che mi è capitato di rileggere recentemente. Trovo che illustri brillantemente il concetto di resilienza, particolarmente rilevante di questi tempi:

“Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?”
“Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?”
“Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari”.
“E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?”
“Non me lo perdonare mai, anche se per me l’hanno inventata questa peste!”
“Può darsi, ma se così non fosse?”
“Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa”.
“E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo”.
“Mi prendete in giro?”
“Affatto… Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso”.
“Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?”
“Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa”.
“E di cosa vi privaste?”
“Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po’ di primavera a terra. Ci fu un’epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere. Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l’uomo in salute. Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all’alba. Un vecchio indiano mi aveva detto,anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita. Sempre l’indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l’abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave. Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’ attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente. Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell’equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando”.
“Come andò a finire, Capitano?”
“Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto”.
“Vi privarono anche della primavera, ordunque?”
“Sì, quell’anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela più”.