Clint Eastwood, l’uomo di marmo compie 90 anni

 

Il 31 maggio 1930 a San Francisco nasceva Clint Eastwood, oggi un monumento con i suoi 90 anni. Il Clint ragazzo cresce e resta in California anche quando i suoi vanno a vivere in Texas. «Parlavo poco – racconta – vivevo in un mondo tutto mio e l’unica cosa che mi appassionava era la musica». In verità anche i serpenti e la recitazione. Con la voglia di emergere, lo sguardo magnetico e l’andatura dinoccolata (copiata dal suo idolo Gary Cooper), riuscì a strappare piccole parti nei B-Movies degli Anni ‘50; poi divenne protagonista del serial Gli uomini della prateria e fu presto popolare. Il personaggio di Leonardo Di Caprio in C’era una volta a Hollywood di Tarantino è un omaggio intinto nel veleno a quel periodo della sua carriera, giacché fu allora che il suo agente gli propose il copione di Per un pugno di dollari (1964).

Accettò, ma si scontrò con la CBS che non lo voleva lasciare libero per il tempo delle riprese in Italia. Dal canto suo Sergio Leone si affidò a lui dopo il rifiuto di molti altri attori e un serrato negoziato al ribasso sul compenso. Per caratterizzare il personaggio dell’Uomo senza Nome gli venne imposto un cappello e un sigaro toscano: una sofferenza continua per uno che detestava il fumo. Ma così nacque la sua fortuna. Famosa la battuta del regista Leone quando in cui disse di Clint: «Ha soltanto due espressioni, una con il cappello, una senza cappello»; lo definiva un blocco di marmo. Clint ricorda tuttavia che Leone, come Fellini, pensava che la faccia per un attore fosse importante, dunque «meglio avere una gran bella faccia piuttosto che un gran bravo attore».

Eastwood tornò in patria senza sapere degli alti incassi della pellicola. Fu sorpreso quando venne richiamato da Leone l’anno dopo sul set di Per qualche dollaro in più. Il buono il brutto il cattivo del ‘66 fu un successo internazionale, ma i tre film approdarono a Hollywood solo dopo il 1967 e Eastwood doppiò addirittura sé stesso. Al western sarebbe tornato più e più volte, sia come attore che come regista, fino all’epopea de Gli spietati. Negli anni ‘70 la serie dell’Ispettore Callaghan con Siegel gli regala grande popolarità; il debutto come regista arriva con Play Misty for me (1971). Nasce poco dopo la sua compagnia di produzione Malpaso. Produce ormai tutti i suoi film, e nonostante alcuni insuccessi, è un «valore sicuro» per la distribuzione Warner. Intanto Eastwood si costruisce una solida fama di divo totalmente americano, eroe senza macchia in un mondo corrotto. Nel 1993 con Gli spietati arriva anche la gloria dell’Oscar. Due anni dopo avrebbe avuto l’Oscar alla carriera e poi altri due tra Mystic River e Million Dollar Baby; con Gran Torino ecco la celebrazione come “il nuovo John Ford”.

Acquisita fama mondiale per trent’anni con il personaggio del “duro”, sia nel western che nel poliziesco, Eastwood rifonderà successivamente il suo personaggio. Ecco che il lento agire da cobra, pronto a colpire duramente, si trasforma, negli anni duemila, nella paziente lentezza “filosofica” di un personaggio della terza età, chiamato dalla sua coscienza a soffermarsi sul senso della vita.

Ci accorgiamo così che il cinema di Clint Eastwood non ha la fretta pirotecnica del cinema ultra digitale hollywoodiano, chiamato a stordire lo spettatore con nuovi effetti speciali ad ogni cambio inquadratura. Anche in film dal montaggio compresso (Million Dollar Baby – 2004, Invictus –2009, Sully – 2016 e soprattutto The Mule (“Il corriere”) – 2018) Eastwood apre improvvisamente a scene di una lentezza e suspense intense.

Proprio in The mule, si è arrivati quasi ad una svolta nell’ambito della regia, come da lui stesso ammesso: «Questo film è diverso da tutti gli altri da me diretti, ho voluto raccontare una storia diversa, che viene da fatti veri. La solitudine di un uomo che ha sbagliato a vivere la vita, ma che cerca di correggersi prima di lasciare questo mondo». Una concezione ben più autobiografica e un racconto della società e dell’uomo in quel momento.

I film di Clint Eastwood, quelli che ha diretto e interpretato, e quelli, sempre meno numerosi, dove ha solo recitato, sono per prima cosa delle «belle storie», solide, strutturate, appassionanti. Storie con le quali potesse sentirsi in sintonia, ma dove soprattutto potesse misurarsi con quello che più gli interessava, dove anche il genere del film non era importante.

Qualcuno avrebbe scommesso su un Eastwood romantico? Su un Eastwood giallista? Su un Eastwood melodrammatico? Nelle sue 41 regie (fino ad ora) c’è di tutto, dal film processuale (Sully) a quello di fantascienza (Space Cowboys), dal film musicale (Jersey Boys) a quello sportivo (Invictus – L’invincibile) perfino a quello spiritualista (Hereafter). Non tutti riusciti alla perfezione, ma anche con un bel pugno di opere eccellenti (Bird, Un mondo perfetto, Mystic River, Million Dollar Baby, Gran Torino, per citarne solo alcuni) a riprova che dietro l’eterogeneità dei soggetti, c’è un regista che ha imparato la lezione dei classici, quella di una messa in scena senza pecche, senza compiacimenti né fronzoli (l’opposto di Tarantino, se vogliamo).

Nella vita privata assomiglia sempre più a un “monumento”. Non un carattere facile per uno che ha punteggiato la vita di varie storie sentimentali, spesso sovrapposte, e che ha avuto ben 8 figli. Anche nel campo politico ci ha fatto accapponare la pelle per le sue prese di posizione politiche (inventandosi un dialogo con una sedia vuota per portare voti a Donald Trump, per esempio), ma anche nelle sue imperfezioni, non possiamo che ricordare quello che ci ha insegnato il vecchio Clint: nessuno è perfetto! Buon compleanno Clint.


 

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