Ciao Ezio, ci vediamo nella dodicesima stanza

 
 

Ci lascia Ezio Bosso, si è spento nella notte del 15 maggio nella sua casa di Bologna, all’età di 48 anni e a portarselo via è quella maledetta malattia che lo accompagnava da anni. La sua malattia – una patologia autoimmune e neurodegenerativa simile alla SLA – cercava di piegarlo costantemente, e lui costantemente rimaneva in piedi contro la tempesta.

Da settembre ormai le sue dita non rispondevano più, la malattia si portava via un pezzetto di lui ogni giorno che passava. Il periodo della quarantena lo aveva un po’ piegato: Ezio continuava a studiare le partiture ma quell’energia, quel flusso vitale che lo univa in un mistico tutt’uno con i suoi orchestrali, stava svanendo. 

È di qualche mese fa, ad aprile, la bellissima intervista su Propaganda Live, dove ha parlato dell’importanza dello scambio con le persone e dell’esperienza della condivisione: «la musica è un servizio socio-culturale». La musica «produce benessere ed è un coadiuvante sociale». La musica è «una terapia che in questo momento mi manca […] è una terapia per la società».

A proposito di società, Ezio ha parlato sempre a Propaganda Live nel dicembre 2019. In quella puntata ha analizzato la società, paragonando i suoi elementi a quelli di un’orchestra, rappresentativa «di una società ideale (…) che può prendere i difetti delle società attuali». La partitura è la Costituzione, «lo è proprio perché unisce tutti, e unisce le singolarità, non le individualità». Mantenendo questo confronto, Ezio raccontava come funziona un’orchestra, spiegando ad esempio il ruolo del primo violino, e degli altri violini dietro: «le grandi orchestre sono fatte di persone magari brave come il primo violino, ma non hanno la peculiarità per stare lì davanti, magari stare davanti li agita, magari tutto quel lavoro in più non gli interessa. Gli interessa fare la propria parte bene e aiutare dalla loro posizione». Una società ideale, in cui ogni singolarità è fondamentale, nel sostegno di ognuno per migliorare e sostenere l’altro.

Sempre nella stessa puntata parlava della comunicazione come di un elemento fondamentale. Discutendo della comunicazione sui social – che si prosciuga in un iter comunicativo sintetico – Ezio diceva: «è uno scambio non scambio che in realtà è semplicemente parlare a se stessi. Nel mio caso io li uso con questi pensieri verticali, perché a me interessa una dolcezza nel linguaggio, sempre; non mi interessa uno scontro verbale quando non è neanche uno scontro, sono semplicemente due muri che si incontrano; al giorno d’oggi dal mio punto di vista quello schermo non è una finestra ma un muro e mi fa paura». Era questo che spaventava il maestro, l’incapacità di guardare oltre: «come avere in mano un pacco regalo e guardarlo ma senza aprirlo per vedere cosa c’è dentro».

Tra le sue ultime  dichiarazioni, con l’Italia in pieno lockdown, Ezio si augurava: «quando si apriranno le “gabbie”, la prima cosa che farò è mettermi al sole. E abbraccerò gli amici. Ci metteremo a ridere o ci spunteranno le lacrime. Non so come sarà. Ma qualsiasi cosa sia sorrideremo. Felici di essere vivi». È del 17 aprile questa intervista, l’ultima. 

Le nostre lacrime invece scendono soppiantando i sorrisi, freschi di fase 2, di abbracci con i congiunti, di passeggiate all’aria aperta. Siamo stati tutti a casa in questo periodo e molti di noi ne hanno sofferto; Ezio non era nuovo alla condizione di costrizione. «La malattia mi ha allenato a soste forzate ben peggiori. Stavolta però non è il mio corpo a trattenermi ma qualcosa di esterno, collettivo, misterioso. Sono giorni strani, il tempo e lo spazio si sono fatti elastici, a volte le ore sono eterne, a volte volano. A volte ti senti in prigione, a volte scopri la Dodicesima stanza, quella che ti libera. Era il titolo di un mio vecchio album».

Il musicista aveva in mente molti progetti, soprattutto a fronte delle nuove esigenze date dalle ormai consuete distanze di sicurezza. Di certo aveva in mente il programma più bello, quello di riabbracciare i suoi amici.

In momenti come questi a cosa possiamo credere? Lui ci risponderebbe di «credere nella musica», la stessa che annulla ogni distanziamento, che ci accoglie tra le sue braccia piene di sfumature. La musica che unisce, che ci fa sperare sempre nel meglio. La musica distrugge ogni confine: questa era la lezione che nel 2018 il maestro tenne al Parlamento Europeo a Bruxelles nel corso della conferenza sul Patrimonio Culturale europeo.

Chi comincia fin da bambino a studiare musica entra in contatto con molte personalità, culture e realtà diverse. Con la musica si attraversano in pochi minuti le vallate verdi austriache di Beethoven, fino a ritrovarsi ad annusare il profumo della Senna con Debussy.

Per Ezio la musica è anche magia: «non a caso i direttori – d’orchestra, ndr – hanno la bacchetta». Queste le sue parole nel 2016, quando partecipò come ospite a Sanremo regalandoci un bellissimo discorso che ha illuminato lo spirito di coloro che lo hanno ascoltato. «Ricordatevi che la musica come la vita si può fare in un modo solo: insieme. La musica è una fortuna e, come diceva il grande maestro Claudio Abbado, è la nostra vera terapia».

Non concluderemo dicendo “addio”, emotivamente non ci riusciamo. Quindi ciao Ezio, continueremo a percepirti e a frequentarti nelle tue note. Ci vediamo nella dodicesima stanza.


 

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