(L’in)Sostenibilità nella Fase 2: quanto la Terra soffrirà la ripresa

 
 

La Fase 2 è iniziata e noi torniamo ancora una volta a parlare del rapporto tra Covid e clima. È di pochi giorni fa la notizia del canale ambiente dell’Ansa che ci ha parlato degli aspetti estremamente positivi della fase di lockdown dal punto di vista climatico. In soli due mesi, infatti, saremmo riusciti a raggiungere la riduzione di CO2 prevista per l’Italia dall’Accordo di Parigi per il prossimo decennio, cioè il -35% di emissioni.

L’impatto che questa crisi ha avuto sulle emissioni ci mostra in modo chiaro che la loro riduzione in condizioni di massima operatività, con industrie aperte, automobili e mezzi pubblici in piena attività, sarà una sfida davvero complessa. «Per riuscire a essere in linea con Parigi – ha detto Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – si dovranno mettere in campo politiche e misure tali da garantire livelli di emissione di CO2 paragonabili a quelli di queste ultime settimane. Uno sforzo titanico, necessario per evitare un’altra grande crisi, quella climatica, anche perché la storia insegna che dopo una crisi economica e un calo delle emissioni queste potrebbero tornare a crescere anche più di prima».

Ipotesi, quella di una nuova crescita delle emissioni, condivisa da molte autorità. Tra queste la World Health Organization che afferma: «Gli sforzi fatti per controllare la trasmissione del COVID-19 hanno ridotto le attività economiche, producendo un miglioramento della qualità dell’aria in molte aree del mondo. […] Ma i miglioramenti ambientali dovuti a queste azioni potrebbero essere ribaltati una volta che gli Stati riprenderanno le attività con l’obiettivo di una rapida espansione. A meno che non ci sia una chiara volontà di promuovere una transizione alla green economy».

Per quanto questa posizione sia moralmente condivisa, ancora una volta, la paura di una crisi economica è più forte di ogni altra ragione. Prova ne sono i numerosi impegni a carattere ambientale che l’agenda internazionale ha deciso di  rimandare a data da destinarsi. Eppure molti sono i segnali che ci dicono che trascurare la questione del cambiamento climatico non sarebbe saggio da parte nostra.

Sebbene non ci siano, ad oggi, prove che colleghino il COVID-19 al cambiamento climatico, il clima potrebbe indirettamente impattare sulla risposta della popolazione alla malattia. La maggior parte delle malattie infettive, e delle recenti epidemie, derivano infatti dal mondo animale. Esistono prove scientifiche che dimostrano che la pressione dell’attività umana sull’ambiente può determinare emergenze di questo tipo. Per questo motivo, aumentare la protezione della biodiversità e dell’ambiente in generale può effettivamente ridurre la possibilità che nuove malattie infettive arrivino all’uomo.

Eppure gli Stati continuano a programmare una ripresa in grande stile, prevedendo di rialzare i livelli del PIL ai livelli pre-Covid già nel 2021. Nessun piano di riapertura sostenibile all’orizzonte, solo un’accelerazione che non guarderà in faccia nessuno, utilizzando la scusa del benessere sociale.

Oggi ci troviamo davanti ad un bivio e stiamo imboccando la strada più facile da percorrere, restando sordi agli avvertimenti di chi continua a dirci che alla fine della strada c’è un burrone. Oggi è il momento di tornare indietro e scegliere il sentiero scosceso, di rimboccarci le maniche e capire come questa frenata obbligata alle nostre economie potrebbe rendere più semplice una transizione verso l’industria sostenibile e la green economy. 

Se non cogliamo questa occasione, domani potremmo guardare ad oggi come al momento in cui l’uomo ha condannato la Terra per un errore di valutazione, o forse, per semplice distrazione. 


 

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