Per un’economia sostenibile. Cos’è il “voto col portafoglio”?

Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha contribuito negli ultimi anni in maniera sostanziale alla ricerca sui temi della finanza etica, della responsabilità sociale d’impresa e del commercio equo e solidale. Interessi scientifici che ha sempre corroborato con un attivismo sociale che lo ha visto impegnato, dal 2005 al 2014, come presidente del comitato etico di Banca Popolare Etica e dal 2013 ad oggi come presidente del comitato tecnico-scientifico dell’Associazione NEXT (Nuova Economia X Tutti).

All’interno del vasto panorama concettuale innovativo del professor Becchetti abbiamo scelto oggi di focalizzarci su uno dei concetti principali da lui proposti. Si tratta del concetto di “voto (o valore) al portafoglio“. Cosa si intende con questa espressione?

Alla base di questa idea c’è la convinzione che «il cittadino può “votare” le imprese di beni e servizi, acquistando da quelle che rispettano la sostenibilità ambientale e sociale» e diventando così “elettore” attraverso il proprio portafoglio. La proposta è dunque rivolta a tutti e consiste nella possibilità di utilizzare il reddito come un capitale da investire responsabilmente ed eticamente, consapevoli del fatto che tutti i nostri acquisti (pur piccoli) sono dei veri e propri “investimenti” che “premiano” un’azienda piuttosto che un’altra, finanziando – di fatto – i loro prodotti/servizi.

L’assegnazione di questo “premio-valore” andrebbe fatta prediligendo i criteri di sostenibilità e impegno etico dell’azienda; in questo modo i singoli cittadini, nel loro piccolo, avrebbero la possibilità di indirizzare i flussi del microcredito verso le realtà che scelgono la trasparenza e il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente nel loro stile aziendale.

La previsione verosimile, che permette a questo strumento concettuale di poter svolgere un ruolo effettivo anche su larga scala, è che l’aumento di questo tipo di domanda, eticamente connotata, possa rappresentare uno stimolo sempre più pressante su tutto il panorama aziendale nel fornire risposte adeguate, nella speranza dunque di un’approssimazione progressiva agli standard etici da parte di tutto il mercato.

Appare chiaro, in questa prospettiva, in che senso questo meccanismo possa essere accostato al “voto”, cioè all’elezione di un rappresentante. Indirizzando i suoi acquisti verso le aziende che si impegnano in un percorso di crescita della sostenibilità, il cittadino le “elegge” a rappresentanti virtuosi del modello economico-aziendale di domani. Operazione che premia la qualità, l’impegno e l’innovazione e che ha alla base la “responsabilità” come valore fondativo e motore dei nuovi modelli di crescita economica.

Nel suo contributo all’interno del testo “Gestire l’inter-esse. L’alleanza tra impresa responsabile e società civile” (edito da Franco Angeli), Leonardo Becchetti descrive tecnicamente la proposta del “voto col portafoglio” esprimendola con la formula:

πb+a-c>0

dove b è uguale al “beneficio per chi vota, generato dal cambiamento prodotto nelle imprese e nel sistema economico”; a sta per la “soddisfazione altruistico-generativa del votare (zero per chi non è sensibile)”; mentre c è “il costo del votare col portafoglio (differenziale di prezzo tra prodotto «etico» e prodotto standard). Infine il π calcola la “quota di quanti votano (contenuta tra 0 (nessuno vota) e 1 (tutti votano))”.

Lo “scandalo” di questa formula – che ci riporta dal piano concreto a quello teorico – è sicuramente il ruolo del differenziale c: il fatto che nell’acquisto si stia preferendo un prodotto che costa di più rispetto alla media è sicuramente un’anomalia. Non siamo affatto abituati (ed educati) a scelte di questo tipo e – nella vita quotidiana – non facciamo che rincorrere le offerte più vantaggiose e i prezzi più stracciati (troppo spesso a discapito della qualità) sia per i beni di prima necessità che per gli altri bisogni secondari.

Occorre dunque spostare l’asse della questione analizzando il modello societario e – nello specifico – il “tipo umano” cui un simile coefficiente di preferenza (di un prodotto più caro rispetto allo standard) possa verosimilmente essere riferito.

Le riflessioni di Becchetti restano infatti ancorate al presente e non rifuggono dai problemi che affliggono società di tutto il pianeta, riassunti con la metafora del “mostro a quattro teste”, come descritto nel Manifesto dell’associazione NEXT. Le quattro teste di questo “mostro” con cui è possibile rappresentare il male che affligge il mondo contemporaneo sono descritte dall’autore in questo modo:

Povertà e disoccupazione: “la presenza di centinaia di milioni di persone che soffrono la fame e di miliardi di individui che vivono sotto la soglia di povertà”;

Dissesto ambientale: “il deterioramento ambientale e il dissennato utilizzo dei beni comuni (acqua, aria, territorio, biodiversità) che, se nel futuro prossimo sembrano minacciare l’umanità tutta e l’intero pianeta, oggi danneggiano in misura maggiore le popolazioni più povere”;

Competizione sfrenata: situazione causata dalla “pressione sui lavoratori, derivante dalla globalizzazione, con la propagazione di un clima di lavoro e di comportamenti di mercato a competitività esasperata” che investono prima di tutto i salari.

Infelicità dell’essere umano: “la diffusione tra la popolazione dei paesi più ricchi del dramma della “povertà di senso” e della difficoltà di dare un significato alla propria vita, segnalato dalle dinamiche degli indicatori di vita sociale e relazionale e dal consumo crescente di farmaci antidepressivi”.

Un valido aiuto per sviluppare strumenti atti a combattere su questi quattro fronti è – sempre secondo lo studioso Becchetti – riconoscere l’importanza dei “beni di stimolo” rispetto ai “beni di comfort” e dunque promuoverne la circolazione all’interno della società civile.

Per i “beni di stimolo”, infatti, non basta il reddito ma occorre avere sviluppato delle abilità, dunque essersi sottoposti ad un processo educativo. Un esempio di “bene di stimolo” sono le attività di volontariato, che oltre ad essere fonte di felicità per chi le pratica, favoriscono l’allenamento ad uno stile di consumo meno dipendente e assuefatto; cosa che invece caratterizza il modello del consumo dei beni di comfort, i quali non richiedono alcun allenamento e, anzi, «diminuiscono la capacità di consumare beni di stimolo».

Appare chiaro, dunque, che una società che possa virtuosamente innescare dei processi di crescita e sviluppo improntati al concetto del “voto col portafoglio” debba essere una società formata da attori consapevoli, allenati e felici, i quali operano sulla base di un “auto-interesse lungimirante”.

Abbiamo quindi raggiunto il cuore pulsante di questa teoria economica, svelando che al suo centro il concetto di “persona” viene assunto in modo ampio e non riduzionistico rispetto al raggiungimento del profitto, e soprattutto misurando il grado di soddisfazione non dalla sottrazione dello sforzo al risultato (slogan del minimo sforzo, massimo risultato), ma al contrario dalla somma del risultato alla felicità derivante dallo sforzo fatto per raggiungerlo.

Tuttavia, questo “addendo” della felicità è fruibile – citando il filosofo ed economista John Stuart Mill – solo da «coloro che hanno le menti fissate su qualcos’altro che la propria felicità: sulla felicità degli altri, o nel miglioramento dell’umanità».


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