Sussiste il ragionevole dubbio: il cardinale Pell prosciolto dalle accuse di pedofilia

 
 
 

«Mi sono sempre dichiarato innocente ed ho sofferto per aver subìto una grave ingiustizia». Sono queste le parole pronunciate dal cardinale George Pell nella prima dichiarazione pubblica rilasciata dopo l’emanazione della sentenza con cui, il 7 aprile 2020, la High Court of Australia lo ha prosciolto dalle accuse di pedofilia. La sussistenza del “ragionevole dubbio” ha ribaltato la decisione presa dalla Corte d’appello nell’agosto del 2019, con cui veniva confermata la condanna a 6 anni di reclusione emessa dal Tribunale di Melbourne nel dicembre 2018.

Il porporato settantottenne era stato accusato di aver molestato sessualmente due chierichetti tredicenni, rispettivamente il 22 dicembre 1996 e il 23 febbraio 1997, nella sacrestia della Cattedrale di San Patrick a Melbourne, dopo la celebrazione della messa domenicale.

Considerando che l’accusa era stata fondata quasi esclusivamente sulla testimonianza a porte chiuse dell’unica vittima sopravvissuta (l’altra era deceduta nel 2014 per overdose), l’Alta Corte ha ritenuto che le evidenze presentate non fossero sufficienti per configurare il livello di prova necessario ai fini della condanna. In particolare, la Corte ha constatato che la giuria, agendo razionalmente sull’insieme delle prove, avrebbe dovuto nutrire un dubbio in merito alla colpa del richiedente in relazione a ciascuno dei reati per i quali era stato condannato e, per questo motivo, ha ordinato che le condanne fossero annullate e che al loro posto venissero inseriti i verdetti di assoluzione.

I sette giudici chiamati a decidere hanno riscontrato, all’unanimità, la presenza di molte eventualità e dati di fatto a favore dell’imputato per tutti e cinque i capi di accusa che non erano stati completamente considerati dalla giuria nei giudizi precedenti. Per questo motivo, si è ritenuta esistente la “possibilità significativa” che una persona innocente fosse stata condannata.

Cosa si intende per “ragionevole dubbio”? Cosa ha permesso alla High Court australiana di ribaltare le precedenti sentenze e di prosciogliere il cardinale Pell?

Una premessa fondamentale risiede nella considerazione che, nel mondo, esistono differenti ordinamenti giuridici che sono il risultato della storia, degli usi e delle tradizioni di una particolare nazione. I principali modelli che hanno ispirato molti di tali sistemi sono quello francese e quello inglese. I sistemi nati dall’esempio francese (tra i quali si annoverano gli ordinamenti dei Paesi europei, della Cina, del Giappone e del Sud America), appartengono alla tradizione del civil law o del Roman law e si basano su giudici di professione e codici rigorosamente scritti. I sistemi di derivazione anglosassone (adottati in Australia, Canada, Regno Unito e Stati Uniti), invece, appartengono alla tradizione del common law; essi si avvalgono di giurie popolari e consentono l’utilizzo di sentenze e di principi legali più ampi e meno codificati.

A fronte di tale differenziazione, il quesito da porsi è: come arrivano alla decisione i giudici, i giurati, le giurie? Per rispondere a tale interrogativo bisogna analizzare il complesso percorso ragionativo che conduce alla sentenza. Quest’ultima è la decisione che viene assunta dal giudice alla fine di un procedimento logico particolare; si parte da una situazione ipotetica che deve essere confermata o negata attraverso l’acquisizione, durante il processo, di ulteriori informazioni: le prove (siano esse testimoniali, documentali, scientifiche, peritali). Di fatto, nessuna prova, seppur considerata attendibile, è in grado di determinare la certezza assoluta, pertanto il ragionamento del giudice non può arrivare a una conclusione definibile come assolutamente certa o vera. Per tale ragione, all’interno di tutti i sistemi legali viene applicato il principio del “ragionevole dubbio”: poiché la legge non definisce quale dubbio possa essere identificato come “ragionevole”, non bisogna andare alla ricerca di una verità impossibile ma è necessario ridurre il margine d’errore a una soglia che possa essere plausibilmente accettabile. Il processo penale, quindi, ha lo scopo di accertare la c.d. “realtà processuale”, che non necessariamente coincide con la verità reale.

Il principio del “ragionevole dubbio” deriva dalla regola beyond any reasonable doubt degli ordinamenti di common law. Nel dettaglio, il sistema di giustizia penale australiano si basa sulla presunzione di innocenza: un soggetto accusato di un reato si presume innocente finché la sua colpevolezza non venga provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. La giuria o il giudice devono determinare se la pubblica accusa sia stata in grado di dimostrare, con le prove presentate in giudizio, la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Se le prove fornite non sono in grado di convincere totalmente i giudici sulla fondatezza dell’accusa, ciò implica che sussiste il ragionevole dubbio e che la sentenza di condanna non possa essere pronunciata.

Sebbene quello italiano sia un sistema di civil law, il principio del ragionevole dubbio è stato introdotto anche nel nostro ordinamento processuale penale.

Rivoluzionaria, in tal senso, è stata la Sentenza Franzese del 2002, pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione. La Corte ha evidenziato che nel processo penale è possibile condannare esclusivamente se l’esistenza del fatto, la responsabilità dell’autore e il nesso di causalità intercorrente tra essi possono essere provati oltre ogni ragionevole dubbio. Poiché il rapporto di causalità costituisce un elemento oggettivo del reato, è necessario che anche riguardo alla sussistenza di tale nesso venga eliminato ogni dubbio ragionevole attraverso un giudizio di alta probabilità logica. Questo giudizio deve essere effettuato in concreto, applicando la legge scientifica e considerando tutte le risultanze processuali e tutte le particolarità del caso singolo, escludendo con certezza che l’evento sia stato causato da altri fattori.

Il principio elaborato dalla Corte di Cassazione è stato codificato quattro anni dopo. Con la legge n. 46 del 2006 (meglio nota come Legge Pecorella) è stato modificato il primo comma dell’art. 533 del codice di procedura penale, relativo alla sentenza di condanna, il quale stabilisce che «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». L’aggettivo “ragionevole” deve essere inteso come “comprensibile da una persona razionale”, pertanto non può trattarsi di un dubbio prettamente psicologico percepito soggettivamente dal giudice ma, al contrario, deve basarsi su motivazioni e argomentazioni logiche. Se le risultanze processuali non sono idonee ad escludere una differente ricostruzione del fatto prospettata dalla difesa sulla base delle prove acquisite, sussiste il ragionevole dubbio e il giudice non potrà emanare la sentenza di condanna.

Federica Matranga