Per Gaza il Covid-19 sarebbe una catastrofe

Covid-19 sta colpendo ovunque, mietendo migliaia di vittime al giorno e mettendo in ginocchio sistemi sanitari di tutto il mondo: ma a Gaza, dove la sanità è al collasso ormai da anni e 1,8 milioni di persone vivono in 360 km2, i danni di una possibile epidemia sarebbero incalcolabili.

In linea con quanto sta accadendo in molti altri Paesi, da settimane il governo di Hamas ha chiuso caffè, ristoranti, scuole, istituti pubblici. Dal Ministero della salute della Striscia è echeggiato un messaggio a tutti noi familiare: il distanziamento sociale è essenziale per evitare la diffusione del virus. Essenziale, ma nel caso della Striscia di Gaza quasi impossibile. Basta guardare ad alcuni dati riportati dal quotidiano israeliano Haaretz: nel campo profughi di Jabalia 113.990 rifugiati vivono in uno spazio di 1,39 km2, in quello di A-Shati la situazione è anche più complessa, con 85.628 profughi in 0,51 km2 .

«A quanto riporta il Ministero della Salute di Gaza, ci sono 12 casi confermati di Coronavirus, tutti in quarantena» racconta Ghada Majadele, direttrice del Dipartimento per i Territori Occupati per Physicians for Human Rights Israel (PHRI). «La buona notizia è che cinque di essi sono guariti, portando il numero attuale a sette. Al momento, il numero delle persone esaminate è 1301, grazie ai kit inviati a Gaza dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF. Tuttavia, potrebbero esserci più casi di quanti ne siamo a conoscenza». Al momento, la Striscia è attrezzata con più di 20 centri per l’isolamento di casi sospetti, persone entrate a Gaza attraverso il valico di Al Rafah mostrando dei sintomi.

«Le misure preventive non saranno sufficienti a controllare l’epidemia» continua Majadele: «possono essere abbastanza in questa fase, ma nel momento in cui verranno confermati più casi, sarà davvero complicato impedire la diffusione del virus. La Striscia è piagata da condizioni sanitarie precarie, in particolare a causa della povertà, della crisi idrica e della densità abitativa, che rappresenteranno una sfida ad attuare il distanziamento sociale e a rispettare le misure igieniche».

Un’epidemia di Covid-19 nella Striscia di Gaza sarebbe una catastrofe per il suo sistema sanitario, al collasso ormai da più di un decennio. «Il sistema sanitario a Gaza è in difficoltà ormai da un decennio, principalmente a causa del blocco israeliano e dei ripetuti attacchi militari che hanno procurato enormi danni a strutture e infrastrutture» spiega Majadele. «Ogni anno, migliaia di pazienti sono trasferiti in ospedali fuori dalla Striscia, perché le cure non sono disponibili a causa di scarsità di strumenti e di competenze, quest’ultima dovuta anche alle restrizioni nel movimento».

«La carenza di risorse basilari per combattere il Coronavirus è gigantesca» spiega Majadele. «Stiamo parlando di mancanza di occhiali protettivi, mascherine, ventilatori, posti letto per la terapia intensiva. In Gaza ci sono solo 55 ventilatori e 70 letti di terapia intensiva distribuiti in tutti gli ospedali, alcuni già occupati da pazienti comuni. L’OMS, l’UNICEF, Paesi come la Giordania e altri Paesi europei stanno inviando forniture basilari, ma non basta».

«Il sistema sanitario di Gaza deve anche confrontarsi con le migliaia di pazienti che, prima della pandemia, andavano a curarsi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e che ora, con la chiusura imposta da Israele e Hamas per fermare la diffusione, non ricevono alcun genere di trattamento» aggiunge. «Appare più che mai chiaro non solo che Gaza non può affrontare la pandemia, ma che la pandemia sta mostrando quanto sia terribile la situazione a Gaza».

E prosegue: «Alla luce del blocco in corso e visto che la capacità di Gaza di affrontare il Covid-19 dipende dal controllo israeliano dei confini, Israele ha la responsabilità in base al diritto internazionale di rendere accessibili le risorse al Ministero della Salute di Gaza, perché possa affrontare al meglio la crisi del Corona Virus. Inoltre, Israele deve lavorare per rendere disponibile qualsiasi cosa manchi al sistema sanitario di Gaza. Oggi è più chiaro che mai che assicurare trattamenti medici a Gaza è vitale e che il blocco su Gaza dovrebbe essere rimosso per permettere il recupero del funzionamento del sistema sanitario, mettendo così fine alla sua dipendenza da Israele».

In Israele e in Palestina, intanto, i casi di Covid-19 crescono giornalmente, mettendo a dura prova gli ospedali. In Israele si contano più di 9.400 casi, con 72 morti accertate. In particolare, le strutture sanitarie di Gerusalemme – città particolarmente colpita, soprattutto nei quartieri ultraortodossi – sono sull’orlo del collasso.

Va detto che negli ospedali israeliani palestinesi ed ebrei lavorano fianco a fianco. Gli arabi israeliani compongono il 17% dei medici del Paese. È diventata virale la foto dei medici ebraico e musulmano che pregano insieme. «Durante le ultime elezioni, questo ultimo anno e mezzo, molti hanno detto di non voler collaborare con gli arabi perché “sono terroristi”, ma molto dello staff negli ospedali israeliani sono arabi» commenta Majadele. «È stata un’opportunità per sottolineare che la comunità araba in Israele è legittima. Che componiamo una buona parte dello staff medico e che stiamo curando tutti, senza fare differenze fra arabi ed ebrei. Non siamo terroristi, se potete affidarci le vostre vite, possiamo fare parte di qualsiasi coalizione nella Knesset».