Negli Stati Uniti etica e democrazia messe al bando

 

Sono tempi duri, Restiamo a casa, Andrà tutto bene sono gli slogan più esemplificativi del momento storico che stiamo vivendo, fatto al contempo di paura e solidarietà. Sentimenti che accomunano tutti. Ma tutti chi?

Indubbiamente, gli esponenti di quella che può essere identificata con “l’eredità del ceto medio-borghese”: una classe messa a dura prova dalla corrente pandemia, ma che reagisce sviluppando e migliorando la propria capacità di rispondere e adattarsi agli shock esterni. Cosa accade agli altri? Chi sono gli altri? Cosa ne fa di loro il mondo neoliberale?

Le grandi democrazie, messe con le spalle al muro, si stanno ritrovando a dover compiere scelte difficili, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti e rimbalzano da una parte all’altra del mondo, come dimostrano le notizie giunte dagli Stati Uniti. Esempi di esclusione il cui eco si fa sentire: senzatetto nel Nevada “rinchiusi” in stalli di sosta per le auto, delimitati da quattro strisce bianche, e disabili esclusi dagli ospedali per ricevere le cure adeguate contro il Coronavirus.

Il Catholic Charities Homeless Center di Las Vegas è stato costretto alla chiusura, dopo che le autorità sanitarie hanno riscontrato un caso positivo al nuovo virus tra gli ospiti della struttura. Così, centinaia di persone si sono ritrovate a doversi adattare ad un “alloggio” di fortuna: il parcheggio del vicino Cashman Center, un complesso per convention e partite di baseball. Questa decisione del governatore del Nevada – definita necessaria data la situazione di emergenza, nonché utile e adeguata, dal portavoce Jace Radke – ha incontrato molti pareri contrari, provenienti dal web e da esponenti politici di spicco, come l’ex segretario allo sviluppo urbano Julián Castro. Come mai non vengono utilizzate alcune delle 150 mila stanze d’albergo disponibili in città o i campi degli stadi attualmente svuotati dei loro atleti? Cosa ne è stato della millantata cooperazione tra settore pubblico e privato per far fronte alla pandemia?

Molte associazioni di volontariato lamentano, inoltre, l’impossibilità per un gran numero di senzatetto della città e dello Stato di avere accesso ad acqua pulita, di disporre di mascherine e guanti monouso. Lunghe code fuori dai rifugi per chiedere un pasto caldo o un letto favoriscono poi il diffondersi del virus con la violazione del divieto di assembramento. Tutto ciò rende estremamente fragile una situazione di per sé delicata. La criminalizzazione della povertà è persino promossa dallo stato del Nevada, dopo l’approvazione nel novembre scorso di una legge draconiana che punisce con multe di mille dollari o sei mesi di carcere chi siede, dorme o “alloggia” sui marciapiedi di specifici quartieri.

Chi sta davvero pagando le conseguenze di queste scelte sconsiderate – come la chiusura dell’ufficio per la preparazione alle pandemie, facente parte del Consiglio per la sicurezza nazionale, voluta dall’amministrazione Trump nel 2018 – oltre ai senzatetto, sono i disabili e i malati con condizioni preesistenti all’avvento del Covid-19.

I dipartimenti della sanità pubblica di una decina di Stati, tra cui il Colorado e l’Alabama, hanno redatto e/o emendato il proprio protocollo per la gestione e il razionamento delle risorse mediche limitate in tempi di crisi sanitaria. Questi documenti dettano le linee guida e i principi etici cui tutti gli operatori sanitari devono rigorosamente attenersi nella gestione delle risorse e degli accessi alla terapia intensiva. L’obiettivo è salvare più vite possibili, al minor costo, proteggendo la salute e il benessere del dèmos. La priorità non è l’individuo ma la collettività.

Equità, solidarietà e rispetto della dignità umana sono alcuni dei principi presi in considerazione per guidare i decision-makers in situazioni di crisi – come si legge nel Crisis Standards of Care Guidelines (CSC) dell’Alabama – aggiornato al 28 febbraio 2020. Sempre in accordo con il CSC, tutti i pazienti meritano un trattamento equo nella somministrazione delle cure adeguate e non possono essere discriminati sulla base di nessun elemento che non sia direttamente rilevante per l’ammissibilità degli individui a ricevere le suddette cure. Vale a dire? In merito, il CSC è poco chiaro e lascia un ampio margine di interpretazione, delegando la scelta all’etica del singolo operatore sanitario, il cui obiettivo principale è quello di razionalizzare al meglio le poche risorse disponibili per il maggior numero di persone.

Si esprime più chiaramente il CSC redatto dal dipartimento di competenza del Colorado. Al paragrafo “Criteri per l’esclusione” troviamo un elenco, relativamente ampio, di casi in cui i pazienti debbano essere esclusi dall’ammissione o trasferimento al reparto di terapia intensiva, qualora esistano condizioni cliniche precedenti che possano avere un impatto sulle possibilità di sopravvivenza: demenza, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), tumori giunti all’ultimo stadio, gravi disturbi neurologici; individui dunque che presentino scarse possibilità di guarigione. Anche l’età diventa criterio di esclusione: ai soggetti maggiori di 90 anni non è consentito avere cure adeguate qualora i sintomi dovessero aggravarsi.

Inoltre, valutando le condizioni del paziente, la sanità pubblica del Colorado attribuisce loro un punteggio attraverso un sistema di classificazione chiamato Modified Sequential Organ Failure Assessment (MSOFA), il quale valuta le condizioni dei diversi apparati: cardiovascolare, respiratorio e via dicendo. Più alto è il numero sulla scala, peggiore risulta il quadro clinico. Qualora un paziente abbia un punteggio superiore a otto per più di cinque giorni, senza mostrare segni di miglioramento, o abbia mai avuto un punteggio MSOFA pari o superiore a 15 (limite più alto) o una qualsiasi altra patologia presente nell’elenco dei criteri d’esclusione, deve essere dimesso dalla terapia intensiva, qualora vi arrivi, per dare priorità ad altri.

In tutto il mondo si sta giocando una partita pericolosa, contro un nemico poco conosciuto. E se al momento la preoccupazione è quella di vincere contro il virus, bisogna chiedersi a spese di chi potrebbe essere conseguito questo successo. La risposta statunitense appare tragicamente chiara: oltre ai disabili e i senzatetto, i membri della comunità afro-americana, già afflitta dal pay gap, difficilmente possono permettersi un’assicurazione sanitaria per coprire le spese mediche o di lavorare in modalità smart-working, dato che svolgono perlopiù mansioni che richiedono un’attività manuale, essendo così maggiormente esposti al contagio e meno tutelati dal sistema sanitario dello Stato ove risiedono.