Libia: l’Europa lancia la missione Irini

Martedì 31 marzo ha preso il via la missione aeronavale dell’Unione Europea che ha il compito di assicurarsi che venga rispettato l’embargo di armi in Libia. La nuova operazione si chiama Eunavfor Med, denominata Irini (che vuol dire ‘pace’ in greco) e sostituisce Sophia, lanciata nel 2015 con lo scopo di fermare il traffico di esseri umani.

Il quartier generale resterà sempre Roma, a Centocelle, e il comandante sarà (come per l’ultima parte di Sophia) il contrammiraglio Fabio Agostini. Inoltre Irini avrà un mandato di un anno, con verifiche sulla sua operatività ogni quattro mesi.

Anche se la gestione del flusso migratorio non sarà il compito ufficiale della nuova iniziativa, l’accordo prevede che i Paesi coinvolti definiscano un meccanismo di ripartizione su base volontaria delle persone che verranno intercettate e salvate in mare. In ogni caso, in questa nuova missione è la Grecia a fungere da porto sicuro per lo sbarco, non l’Italia.

Secondo molti analisti, il controllo marittimo dell’embargo rischia di avere poca efficacia, in quanto le fazioni libiche in conflitto riescono a procurarsi armi in altri modi: il generale Khalifa Haftar lo fa via terra, attraverso l’Egitto, mentre il premier Fayez al-Serraj le acquista grazie a un accordo con la Turchia.

La missione, a cui oltre all’Italia partecipano Paesi come Francia, Spagna Germania e Finlandia, prevede l’impiego di unità navali e di controlli satellitari, nonché il ricorso ad attività di intelligence. Previste anche attività sul territorio che potranno però essere rese operative solo dopo le necessarie intese con le autorità locali.

Era stato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a chiedere che in presenza dell’emergenza coronavirus i migranti eventualmente salvati non venissero fatti sbarcare in Sicilia. Cosa che la Grecia ha accettato ma a fronte di considerare come “costi comuni” le spese per la partecipazione alla missione.

«É chiaro che nelle sedi europee ho detto che abbiamo difficoltà a mettere a disposizione i porti per questa missione nel caso di recupero di migranti, perché potrebbe capitare che une delle pattuglie che si occupa del controllo delle armi in ingresso debba salvare dei migranti in mare. L’Italia non può mettere a disposizione i propri porti, però è sicuramente comprensibile visto che stiamo dicendo anche ad alcuni italiani residenti all’estero di non rientrare e che li assisteremo nei paesi in cui si trovano, dato che siamo in una situazione d’emergenza», queste le parole del ministro degli esteri Luigi Di Maio in un’intervista per Euronews.

Il Consiglio europeo ha adottato la decisione in consonanza con le Nazioni Unite: si tratta di una missione aeronavale nel Mediterraneo Orientale che garantirà l’embargo in Libia, bloccando il traffico di armi.

«Sono felice di annunciare che gli Stati Membri hanno concordato dettagli specifici al fine di avviare l’operazione Irini. Abbiamo ripetutamente affermato che solo le risoluzioni politiche e il rispetto dell’Unione Europea dell’embargo delle Nazioni Unite sono la soluzione alla crisi libica», ha dichiarato il più alto rappresentante della politica estera europea Josep Borrell.

L’invio della missione, approvato a fine febbraio in occasione del Consiglio dei Ministri degli esteri dell’Unione, punta anche al contrasto al traffico dei migranti e, a differenza dell’operazione Sophia, insisterà soltanto nel quadrante orientale delle acque libiche. La Libia continua a vivere profonde tensioni, nonostante gli appelli alle parti in conflitto, a porre fine ai combattimenti anche per arginare l’emergenza del coronavirus.

La missione Irini si avvale di navi e mezzi aerei e satellitari. In linea operativa potrà condurre ispezioni in mare aperto, al largo della Libia, su natanti sospettati di trasportare armi o materiali bellici da o verso la Libia e questo in consonanza con la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Ma non basta: altri compiti di Irini sono il monitoraggio e la raccolta di informazioni sull’export illegale di petrolio dalla Libia ma anche il contributo all’aumento delle capacità e all’addestramento dei guardacoste e dei militari della marina libica per le attività in mare. Nel mirino anche lo smantellamento delle reti dei trafficanti.

Tuttavia sono stati sollevati diversi dubbi sia da Tripoli sia da Bengasi: il ministro degli Affari esteri del Governo di accordo nazionale libico (Gna), Muhammad Siala ha espresso riserve e insoddisfazione per la “mancanza di completezza” nella decisione dell’Unione europea di avviare la nuova missione Irini che, a suo dire, non controllerà lo spazio aereo e terrestre della Libia ma solo quello navale.

Se a Tripoli si teme che la missione navale possa colpire soprattutto le navi che arrivano dalla Turchia nel porto di Tripoli con rifornimenti (ma anche forniture militari) a Bengasi si manifesta invece il timore che il monitoraggio sia concentrato soprattutto nella zona orientale (per non impattare con le rotte dei migranti) e rappresenti un ostacolo ai normali traffici commerciali anche quelli legati al petrolio. Resta il fatto che la missione è molto carente sul fronte dell’embargo terrestre (per i passaggi da Egitto a Bengasi) e aereo per i frequenti voli dagli Emirati.

Ad aggravare una situazione già drammatica è l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. «Il virus», dice a Vita.it Matteo Villa dell’Ispi, «è sbarcato in Europa e i riflettori sulle nostre frontiere e sui problemi di prima sembrano essersi spenti. Ma i migranti non sono mai scomparsi: in migliaia sono bloccati sulle isole greche, altri al confine tra la Grecia e la Turchia. Da Paesi come Tunisia e Algeria le persone hanno posticipato il viaggio per la paura la paura coronavirus. Ma dalla Libia le persone tentano lo stesso di partire, perché non c’è paura che tenga rispetto ai centri di detenzione libici».

Inoltre, almeno 2.000 migranti e rifugiati in Libia sono ancora rinchiusi per un tempo indefinito e senza alcun processo legale in orribili centri di detenzione, dove sono esposti ad abusi e condizioni pericolose. Il meccanismo di evacuazione dei rifugiati dalla Libia è al momento estremamente limitato, soprattutto per la mancanza di posti per l’accoglienza offerti da paesi sicuri. Nonostante l’aggravarsi del conflitto in Libia, continua senza sosta il sostegno dell’Unione Europea alla Guardia costiera libica, che intercetta le persone che fuggono via mare e li riporta in un paese in guerra dove subiscono pericolose e ben note condizioni di violenza.

Ulteriori perplessità sulla missione Irini sono arrivate dall’ammiraglio De Giorgi, il quale teme il rischio dell’irrilevanza della missione. De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina militare dal 2013 al 2016, in un’editoriale pubblicato sul quotidiano “Avvenire” sostiene che «la nuova operazione eredita purtroppo anche alcuni dei vincoli di Sophia. Il gruppo navale Ue non potrà infatti operare all’interno delle acque territoriali libiche, nel suo spazio aereo o sulla terraferma, a meno di non ricevere un invito esplicito del governo libico. Ciò comporta che il traffico di armi diretto in Cirenaica attraverso il confine terrestre con l’Egitto e quello marittimo entro le 12 miglia dalla costa, potrà continuare praticamente indisturbato».

Va ricordato che mentre l’Europa è alle prese con l’emergenza del nuovo coronavirus, COVID-19, cinque fregate turche si sono posizionate nelle ultime due settimane di fronte alle coste libiche.

Russia e Turchia hanno precedentemente raggiunto un accordo sulla situazione in Siria , che il Consiglio presidenziale – guidato dal premier Fayez al-Serraj – ha auspicato possa riflettersi positivamente sulla crisi libica. Le due crisi, che da conflitto civile si sono tramutate in guerre di portata internazionale, sembrano essere direttamente collegate da quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha trasferito migliaia di combattenti siriani dalla città di Idlib a Tripoli e Misurata.

Una soluzione militare della crisi consegnerebbe una posizione dominante a quelle potenze che hanno fornito ai vincitori i mezzi necessari per imporsi, e un ruolo ben più marginale, quasi di “passacarte”, a quelle potenze, come i Paesi europei, chiamate soltanto a dividersi a posteriori il nuovo status quo?


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