Libia, l’autoproclamazione di Haftar è un segnale di debolezza

 
 

Lo scorso lunedì sera il generale Khalifa Haftar si è autoproclamato capo della Libia. In una dichiarazione televisiva, Haftar ha affermato di «accettare il mandato del popolo libico per occuparsi del Paese». Un nuovo coup de théâtre sullo scenario libico, che però pare segnare il declino di Haftar, “l’uomo forte della Cirenaica” che fino a qualche tempo fa sembrava destinato ad essere il vincitore nello scontro con il governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli guidato da Fayez Al Sarraj.

Il generale ha dichiarato “morti e sepolti” gli accordi di Skhirat che, nel 2015, sancirono la nascita del governo di Tripoli sotto l’egida dell’Onu, aggiungendo che sul fronte militare proseguirà la battaglia per la conquista della capitale.

Alla luce della situazione sul campo e della fredda accoglienza delle parole di Haftar da parte dei suoi alleati e dello stesso parlamento di Tobruk, del quale le milizie dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) sono il braccio armato, quella di Haftar appare una mossa disperata per cercare di mantenere il potere e salvare il salvabile. Un tentativo di alzare la voce, come del resto aveva già fatto in passato, per nascondere le sconfitte militari dell’ultimo periodo.

Per capire meglio cosa si cela dietro quello che appare come un golpe militare, occorre fare un passo indietro a qualche settimana fa. Con l’Operazione tempesta di pace – avviata con il fondamentale sostegno di militari e armi dalla Turchia – Sarraj ha sferrato una serie di attacchi molto pesanti in Tripolitania contro le milizie del generale Haftar, avviandosi così alla ripresa del controllo dell’intera costa occidentale della Libia fino alla Tunisia. In particolare lo scorso 18 aprile è stata attaccata la città di Tarhuna, che dal 2019 rappresenta una delle basi principali dell’Esercito Nazionale Libico (ELN) per l’offensiva contro Tripoli.

Oltre alla situazione di empasse che si è creata con il riequilibrio tra ELN e GNA, il generale sembra in difficoltà anche sul fronte interno. Haftar ha chiesto il sostegno del parlamento di Tobruk, dal quale egli stesso trae la propria legittimità, ma la reazione del presidente dell’assemblea Agila Saleh è apparsa decisamente fredda. Circolano voci sui media locali secondo cui ultimamente i rapporti tra Saleh e Al Sarraj siano migliorati, profilandosi così l’ipotesi di una interlocuzione tra le due fazioni in lotta. Il che renderebbe Haftar ancor di più una mina vagante.

Neanche gli alleati russi sono apparsi soddisfatti della mossa a sorpresa del generale. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov in conferenza stampa ha dichiarato: «Non abbiamo approvato la recente dichiarazione di Sarraj, che ha rifiutato di parlare con Haftar. Ugualmente non approviamo l’affermazione secondo cui ora Haftar deciderà da solo per il popolo libico». 

I russi hanno in gioco interessi importanti in Libia e sono orientati verso una distensione tra le parti piuttosto che verso uno scontro frontale in cui Haftar non sembra al momento favorito. Stessa cosa per gli altri due importanti sponsor libici, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Molti commentatori sostengono che uno degli scenari più probabili che si profila all’orizzonte sia una spartizione del paese tra Tripolitania (guidata dal governo di Al Sarraj) e Cirenaica (con Haftar al comando). Del resto il dissolvimento dello stato libico è un prezzo che Turchia da un lato e Russia, Egitto ed Emirati dall’altro sono disposti a pagare, in cambio della possibilità di giocarsi la partita per il controllo delle rotte energetiche. E l’Italia? Probabilmente, quando si risveglierà dai problemi legati alla pandemia, l’Italia si accorgerà che i giocatori principali nel risiko libico hanno già fatto le loro mosse e che restano solo posti in piedi da spettatori.


 

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