Global Health: la pandemia accentua le diseguaglianze nel mondo

La diffusione della pandemia da Covid-19 ha posto l’accento sul concetto di “Global Health”, che mai come adesso ha assunto significati sempre più importanti e attuali. Dare una definizione esaustiva e condivisa di Global Health è una grossa sfida; il concetto infatti risulta essere così vasto e incline ad includere diversi elementi e temi che, solo apparentemente, possono sembrare fuorvianti e distanti fra loro. Generalmente, dunque, con il termine Global Health si intende una macro-area che include strategie, ricerche e politiche, nazionali e internazionali, orientate a creare un paradigma comune sulle tematiche di igiene e salute, analizzate globalmente.

Quando si parla di salute globale, tuttavia, è bene soffermarsi sulla necessità che sussistano linee guida e le politiche globali che vadano oltre i confini fisici e strutturali e le relative differenze naturali individuali, per far fronte a problemi che riguardano la salute umana nel suo insieme. La salute globale è dunque la priorità e l’unico mezzo per garantirla è l’annullamento delle barriere socio-economiche che ne ostacolano il raggiungimento. La disciplina del Global Health, dunque, è strettamente connessa alle persone; in particolar modo è vicina alla condizione dei soggetti più vulnerabili e meno abbienti, con un approccio mirante a prevenire le minacce alla salute attraverso un’analisi multidisciplinare dei fattori di rischio.

Sebbene la salute globale sia un bene pubblico che riguarda tutti i Paesi del pianeta, l’attenzione alle condizioni di salute degli individui e le politiche globali ad essa connesse sono equamente distribuite nel mondo?

Con l’avvento dell’emergenza sanitaria del Coronavirus tutti i Paesi economicamente più sviluppati sono corsi ai ripari, adottando misure eccezionali per migliorare le condizioni igienico-sanitarie individuali e pubbliche, diffondendo allo stesso tempo norme educative mirate a responsabilizzare gli individui circa l’importanza di condizioni igieniche adeguate.

In un contesto di alta precarietà in termini di preservazione delle condizioni igieniche, pertanto, la possibilità di avere accesso a fonti d’acqua pulita è un indispensabile fattore per premunirsi contro un possibile contagio da parte degli agenti patogeni del Covid-19. L’acqua, che sappiamo essere una fonte naturale esauribile sulla terra, continua a scarseggiare e ora più che mai tende a diventare il nuovo “oro liquido” che crea disuguaglianze tra Paesi e individui, esacerbando le differenze fra ricchi e poveri. Quest’ultimi, infatti, si trovano oggi in una condizione particolarmente rischiosa a causa della pandemia e dell’impossibilità – contrariamente che nei Paesi più sviluppati – di usufruire di quantitativi considerevoli di acqua pulita e potabile.

Sono circa tre milioni di persone, quasi il 40% della popolazione mondiale, i soggetti che non hanno accesso a fonti di acqua pulita direttamente nelle proprie case. A molti di questi individui è concesso solo un accesso parziale alle fonti d’acqua e, pertanto, la loro possibilità di mantenere gli ambienti igienizzati e lavare spesso le mani, per scongiurare un’eventuale presenza di batteri del Covid-19, è fortemente limitata.

La mancanza di acqua, in determinati Paesi e regioni del mondo, è notevolmente viziata da politiche nazionali che, negli anni, hanno condizionato negativamente la costruzione di infrastrutture miranti al trasporto e alla depurazione dell’acqua. Gli interessi politici in generale e le politiche economiche nazionali di alcuni Paesi, in particolare, hanno penalizzato gli individui che vivono nei Paesi meno sviluppati, esponendoli a condizioni di vita limitative in termini di accesso a beni igienici essenziali e ad adeguati servizi sanitari. Con lo scoppio della pandemia, queste deprivazioni sono apparse più evidenti, a causa della considerevole urgenza di avere a disposizione notevoli approvvigionamenti di acqua pulita per garantire maggiori condizioni di igiene.

La scarsità di acqua, soprattutto durante la pandemia, ha esposto gli individui dei Paesi più poveri ad un maggiore rischio non solo sanitario ma anche psicologico poiché ad essi viene materialmente negato il diritto alla salute, diritto umano fondamentale, che nel contesto attuale dell’emergenza del Coronavirus sembrerebbe essere soltanto un privilegio per pochi.

È la salute degli individui che popolano le regioni meno ricche della terra a pagare il prezzo della mancanza di strategie politiche miranti a garantire condizioni paritarie ed eque in termini di salute umana. La sostanziale inferiorità e il disvalore dei cosiddetti “determinanti sociali” della salute dei Paesi sottosviluppati rispetto a quelli più avanzati – che godono della possibilità di usufruire di fonti d’acqua sicura e potabile, di servizi sanitari, di condizioni igieniche appropriate, di cibo e informazioni certe e complete sulla salute – sono tutti elementi che influenzano le condizioni di salute degli individui che popolano queste zone, e sono fattori condizionati dalle politiche nazionali, e talvolta internazionali, dei governi.

I determinanti sociali, dunque, fanno sì che nell’Africa Subsahariana, nell’America Latina e nel Sud dell’Asia, piuttosto che in Europa, la popolazione si trovi in una condizione di estrema vulnerabilità e incertezza circa le proprie prospettive di riuscita nel contrastare il virus Covid-19. Gli studiosi sono unanimemente inclini a ritenere che in queste zone il disvalore dei determinanti sociali, insieme al diffondersi dell’agente patogeno del Covid-19, produrrà una catastrofe umanitaria senza precedenti. Tali fattori sociali, nei paesi sviluppati sono controllati e distribuiti equamente, hanno contribuito a creare un “cuscinetto”, una sorta di protezione all’irrefrenabile propagazione del virus.

In conclusione, per rispondere al quesito iniziale, si può facilmente affermare che, se pur con non poca amarezza e nonostante l’attenzione alla salute globale esista e sia sottoposta a continuo studio e controllo scrupoloso, in realtà le politiche legate ad essa non sono sempre adeguate data la sussistenza di giochi politici interni che ne minano la desiderata condizione equanime. Il dilagare della pandemia, da un lato, ha evidenziato questa condizione, aggravando il divario fra Paesi ricchi e poveri e, dall’altro, ha mostrato a tutti, indiscriminatamente, come siamo realmente vulnerabili ed esposti a rischi e pericoli per la nostra salute, che possono essere fuori dal nostro personale controllo.

Arundhati Roy, scrittrice e attivista indiana, ci ricorda però che «le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo».  Con l’emergenza Coronavirus, pertanto, i tempi sono maturi per far sì che siano assicurate sostanzialmente, e non più soltanto formalmente, eque condizioni di salute a livello globale senza alcun tipo di riserve. Questo è diventato un imperativo a cui non si può più non dare ascolto se si vuole preservare l’umanità tutta. Compito nostro è imparare dall’esperienza, immaginare e progettare un mondo post-Coronavirus migliore di quello avuto finora.


 
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