Coronavirus, il contagio nelle carceri

È morto il primo detenuto per covid-19. Si tratta di un 76enne ristretto al carcere Dozza di Bologna, un carcere diventato un vero e proprio focolaio di contagio che coinvolge agenti, operatori sanitari e detenuti (finora tre). L’uomo era stato ricoverato qualche giorno fa in stato di detenzione e poi ammesso agli arresti domiciliari a seguito del trasferimento in terapia intensiva. Era, come tanti detenuti, affetto da altre patologie.

Attualmente in tutto il territorio nazionale 120 agenti sono stati contagiati e due di loro sono già morti. Una situazione che degenererà giorno dopo giorno, in una vera e propria “epidemia carceraria” se il Guardasigilli Alfonso Bonafede continuerà a prendere provvedimenti che mettono a repentaglio la salute di 57.405 persone presenti attualmente negli istituti di pena. Il decreto Cura-Italia, nel quale erano inserite anche le norme in materia penitenziaria per rispondere all’emergenza coronavirus, inizierà in questi giorni il suo passaggio parlamentare per essere convertito in legge.

Chiaramente misure come quelle prese dal Ministro Alfonso Bonafede sono del tutto inadeguate a fronteggiare questa pandemia che riguarda tutti noi da vicino. «Sono ancora troppe le persone per consentire che siano attuate le misure precauzionali indispensabili per impedire la diffusione del virus»: è l’allarme lanciato dal Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma, che ritiene indispensabili «nuove e incisive misure in grado di arrivare a una sensibile riduzione della popolazione detenuta».

A questi problemi si sommano anche le critiche di chi sostiene che «scarcerare detenuti è un pessimo messaggio da parte dello Stato che in questo modo indietreggerebbe». Lo ha detto il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri intervenendo ad Omnibus, su La7, parlando del sovraffollamento delle carceri. Sulle recenti proteste nelle strutture penitenziarie ha aggiunto: «Bastonano le guardie penitenziarie e scarcerarli sarebbe come premiarli per questo».

Questa continua ossessione del “fare giustizia” ci conduce sempre dalla parte opposta, dove giustizia non viene fatta e dove si alimentano visioni intimidatorie della giustizia penale accompagnate da un sentimento giustizialista. È vero che questo periodo di inattività forzata può rappresentare una fase molto più florida per le mafie, che incidono sempre sui tessuti sociali più deboli. Sappiamo bene che dove c’è un disagio sociale la mafia tenta sempre di inserirsi e lo fa in ogni area della nostra economia: dal piccolo commercio all’edilizia, passando dai rifiuti, settore nel quale ha trovato terreno fertile e dimostrato grandi capacità di adattamento.

Ad ogni modo il punto è che lo Stato deve intervenire in ogni fascia della popolazione da nord a sud, non dobbiamo pensare che dietro dei provvedimenti che possano far defluire la popolazione carceraria ci debba essere sempre e comunque la mano della mafia. I disagi in carcere sono seri: il sovraffollamento e le patologie che colpiscono la maggioranza  della popolazione detenuta rendono il carcere uno strumento lontano anni luce da quello che effettivamente dovrebbe essere, a maggior ragione a seguito della forte emergenza sanitaria che stiamo affrontando.

Le proteste portate avanti dai detenuti nelle prima metà di marzo non sono necessariamente riconducibili a disegni di tipo mafioso. Esse nascono da un fortissimo disagio sociale che il nostro paese continua sistematicamente ad ignorare.

In questo grande disagio tuttavia non siamo soli, neanche le carceri europee godono di ottima salute: Spagna, Francia, Grecia, Romania, Ungheria sono i paesi più colpiti. I contagi stanno iniziando a emergere a macchia d’olio dentro le mura dei penitenziari europei. Secondo il Rapporto di European prisons observatory in almeno tutte le carceri europee si registrano diversi contagi. Diversa invece la situazione negli Stati Uniti, dove attualmente all’interno degli istituti di pena non si registrano contagi ma l’allerta resta molto alta anche a seguito di un eccessivo sovraffollamento.


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Paolazzurra Polizzotto

Scrivere per me è stata una passione inaspettata, un dono tutto da scoprire. La mia missione è quella di dare una “voce” a chi crede di averla persa.

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