La pandemia e il nuovo shock petrolifero

La pandemia da Covid-19 ha costretto un terzo della popolazione mondiale a restare nelle proprie case per contrastare l’incremento del numero dei contagi, come si evince da un rapporto di Business Insider. La scorsa settimana abbiamo parlato di come il Great Lockdown stia portando delle ripercussioni negative sui mercati e di come i principali Stati del mondo si stiano muovendo per arginare le conseguenze di quello che è, a tutti gli effetti, un collasso economico.

Una delle industrie più pesantemente colpite dagli effetti della pandemia è quella del petrolio, la commodity per eccellenza del mercato energetico mondiale. Nelle ultime settimane, le variazioni del prezzo del petrolio hanno occupato le prime pagine di tutti i giornali: “Petrolio al minimo storico”, “Wti con prezzo negativo”. Da cosa è stato causato questo tracollo? E cosa si intende per prezzo negativo?

Negli scambi internazionali, le due varietà di petrolio più importanti sono il Brent, il greggio di riferimento del mercato europeo estratto nel Mare del Nord e scambiato all’Intercontinental Exchange (ICE), e il West Texas Intermediate (Wti), scambiato al New York Mercantile Exchange (NYMEX) ed usato per quotare il greggio prodotto in Nord e Sud America. Entrambi rappresentano i due benchmark principali nelle quotazioni del prezzo del petrolio a livello mondiale.

Il greggio viene scambiato sul mercato attraverso svariati strumenti di investimento ma il più diffuso è quello dei cosiddetti futures. Introdotti dopo lo shock petrolifero degli anni ’70 per minimizzare i rischi derivanti dalle oscillazioni dei prezzi, i futures sono dei contratti nei quali le parti si accordano nello scambio, ad una data scadenza, di un quantitativo di petrolio ad un prezzo stabilito. I futures sono gestiti nei citati mercati ICE e NYMEX e la maggior parte sono a scadenza di tre mesi. Solo il 2% delle transazioni si traducono nella vendita e consegna effettiva di barili petrolio, poiché i contratti vengono liquidati e rivenduti (roll over) a seconda delle variazioni delle quotazioni in borsa, determinando un effetto positivo o negativo sull’investimento iniziale. Gli investimenti nei futures si muovono principalmente sull’andamento del valore dei contratti e sulla differenza tra il prezzo accordato e il prezzo di mercato alla scadenza del contratto.

«Alzati presto, lavora sodo, trova il petrolio»: queste le parole di Jean Paul Getty, fondatore della compagnia petrolifera Getty Oil. Parole che, a fronte dell’attuale crisi dell’industria petrolifera, non sembrano più una formula di successo. Le restrizioni a movimenti, trasporti e produzione industriale hanno causato un crollo della domanda di petrolio, stimato in un calo del 30% rispetto ai valori precedenti alla pandemia da Covid-19. Nello Short-Term Energy Outlook dell’agenzia statistica e analitica del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America (EIA), osserviamo come il consumo mondiale di petrolio, misurato in milioni di barili giornalieri e indicato dalla linea “world consumption”, abbia avuto un deciso calo nel secondo trimestre (Q2) del 2020. Il dato significativo tuttavia è rappresentato dalla linea “world production”, che ci indica come a fronte del calo del consumo i livelli produttivi siano rimasti più o meno invariati.

Fermare gli impianti di estrazione del petrolio è un’operazione costosa e richiede del tempo. Il risultato è che, in molte grandi aziende, lo spazio per lo stoccaggio delle scorte di petrolio è terminato e ciò ha spinto alcuni produttori ad affittare degli spazi aggiuntivi per far stazionare il surplus di produzione. I membri dell’OPEC e altri paesi, tra cui la Russia, hanno deciso di tagliare progressivamente la produzione, per un ammontare di 9,7 milioni di barili al giorno. Anche Stati Uniti e Nigeria hanno deciso di tagliare la produzione ma i problemi relativi allo stoccaggio rimangono, dal momento che i tagli non riescono comunque a pareggiare il crollo della domanda.

I contratti futures vicini alla scadenza, ovvero quelli di maggio, non trovano compratori, un effetto determinato sia dal crollo della domanda che dall’assenza di spazio per lo stoccaggio. Come affermato precedentemente, i futures non si risolvono tipicamente nella vendita e nella consegna di barili, poiché i compratori giocano sugli investimenti e non dispongono degli spazi per immagazzinare materialmente il petrolio acquistato attraverso questi contratti. Tuttavia, anche se i futures rimangono principalmente uno strumento finanziario speculativo, la negoziazione deve essere comunque conclusa se il contratto non si può rivendere prima della sua scadenza. A quel punto, i traders possono addirittura pagare i compratori, pur di disfarsi dei futures.

È per questo che il 20 aprile scorso il petrolio Wti ha segnato un prezzo di -37,63 dollari al barile. Il prezzo in negativo del Wti rileva quindi il prezzo che gli stessi produttori sarebbero disposti a pagare per vendere il surplus di produzione, uscendo in modo temporaneo dal mercato senza necessariamente spegnere gli impianti di estrazione e produzione.

Il crollo del Wti, in qualità di benchmark mondiale, ha “contagiato” l’intera industria del petrolio, che si ritrova ad avere prezzi in negativo in numerose aree del mondo. Il Brent, dopo aver raggiunto il minimo degli ultimi 21 anni con un prezzo di 15,98 dollari al barile, ha ripreso le sue quotazioni per giugno a 20 dollari al barile, ma il resto del petrolio si trova in questo momento tra i 5 e 10 dollari al barile. Le fluttuazioni hanno ripercussioni negative sull’intera industria petrolifera: produttori marginali di shale oil, paesi in via di sviluppo (come il Venezuela), società di esplorazione e produzione, estrattori di riserve onshore. Lo shock petrolifero avrà infine ripercussioni a lungo termine sugli investitori, che a causa dei bassi rendimenti hanno davanti quello che Goldman Sachs ha chiamato “il decennio perduto” del petrolio, stimando una perdita media dell’8% annuale sugli investimenti.