Nome in codice Babyl

 
 

Alta tensione fra Russia e Ucraina in quest’ultima settimana di guerra invisibile fra servizi di sicurezza. Il servizio di sicurezza ucraino (SBU) ha arrestato lo scorso 14 aprile un suo generale, Valerii Shaitanov, a capo delle operazioni speciali “A”, dopo aver raccolto numerose prove della sua collaborazione con l’FSB, il Servizio russo. Shaitanov, nome in codice Babyl, avrebbe fornito a Mosca informazioni sensibili riguardo le operazioni dell’SBU in Donbas, e avrebbe contribuito a organizzare l’omicidio di Adam Osmayev, combattente volontario ceceno, attivo in Donbas a favore di Kiev, e accusato in passato di aver tentato l’omicidio del presidente russo Putin.

A carico di Shaitanov è trapelata anche l’accusa, a supporto della quale l’SBU nega di aver raccolto alcuna prova, di stare organizzando l’omicidio del Ministro dell’Interno ucraino Avakov. Le indagini che hanno portato all’arresto di Shaitanov sono state condotte su più fronti e con l’ausilio di servizi esterni all’Ucraina, in quella che il direttore dell’SBU Ivan Baikanov ha definito la più importante operazione condotta dal Servizio dai tempi dell’indipendenza.

Secondo il dossier, Shaitanov sarebbe stato gestito dal colonnello dell’FSB Igor Yegorov, ufficiale del servizio di counter-intelligence, prima divisione: quella dedicata alle operazioni di sabotaggio in territorio estero. Secondo le prove raccolte, Yegorov avrebbe ricevuto regolarmente da “Babyl”, a partire dal 2014, informazioni dettagliate sulle operazioni dell’SBU nel territorio del Donbas, incluse identità e ruoli del personale sotto copertura; informazioni sulla cooperazione fra l’SBU e Servizi alleati; dettagli sul personale dell’SBU dedicato alle sezioni di counter-intelligence e delle operazioni speciali “A”, di cui Shaitanov era a capo.

Per quest’ultima operazione avrebbe invece dovuto partecipare attivamente all’organizzazione e al compimento dell’assassinio di Adam Osmayev, ricevendo in cambio 200.000 dollari, e il passaporto della Federazione Russa. Yegorov e Shaitanov si tenevano in contatto tramite un nutrito numero di incontri in territorio estero e all’intermediazione occasionale di militari di più basso rango, che avrebbero poi aiutato Shaitanov a portare a compimento l’assassinio di Osmayev e a riceverne il compenso pattuito.

Durante le proteste di piazza a Kiev nel 2014, Shaitanov era al comando di uno dei gruppi d’assalto (il commando “alfa”) che segnò una delle pagine più nere della rivoluzione ucraina: l’attacco al palazzo dei sindacati, dove la sparatoria indiscriminata lasciò molte vittime fra i civili.

In seguito all’arresto di Shaitanov, che sarà processato per alto tradimento e terrorismo (ex. artt. 111 e 258 codice penale ucraino) dal tribunale di Kiev, lo scorso 16 aprile, ulteriori arresti sono stati effettuati. In particolare, nel corso della perquisizione dell’abitazione di un altro militare appartenente alla sezione operazioni speciali “A”, anch’egli in contatto con Yegorov, gli agenti dell’SBU hanno trovato un arsenale di armi e munizioni, comprendente: un lanciamissili, una pistola con silenziatore, fucili, fucili artigianali con silenziatore ed esplosivo al plastico.

Ma chi era Osmayev, e perché volevano “liquidarlo” – come il tramite fra Yegorov e Shaitanov affermava mentre intercettato? Osmayev – “il Capitano”, nelle intercettazioni fra Yegorov e il contatto – è un guerrigliero ceceno di alto profilo che fu arrestato per la prima volta proprio dagli ucraini, a Odessa, nel 2012, con l’accusa di stare organizzando un attentato ai danni di Vladimir Putin.

Il suo rilascio avviene nel 2014, annus horribilis per l’Ucraina, con la crisi di governo, la crisi di Crimea, e l’inizio della guerra in Donbass. Appena libero, Osmayev riabbraccia il fucile e si unisce al battaglione volontario ceceno che combatte per Kiev contro la Russia. L’anno successivo ne diventa comandante. Nel 2017, sopravvive a tre attentati, l’ultimo del quale risulta letale per la moglie, Amina Okueva – anche lei guerrigliera. Basti ricordare che, in una trama da romanzo di spionaggio, Amina Okueva aveva anche salvato il marito dal proiettile di un attentatore: era il giugno del 2017, e un uomo che si presentava come giornalista del francese “Le Monde” chiese di incontrare la coppia per un’intervista. Durante l’incontro, il finto giornalista sparò a Osmayev, ma non prima che la Okueva potesse trarre la sua Makarov dalla borsetta e sparare quattro colpi all’attentatore, invalidandone intenti e fisico.

Interessante notare come questa faccenda sollevò un acceso dibattito sulla diffusione delle armi in Ucraina. Infatti, era pratica di lungo corso, presso il Ministero dell’Interno ucraino, quella di donare armi in occasioni ufficiali. E proprio con la Makarov ricevuta in dono dal Ministro Avakov, la Okueva sparò all’attentatore, salvando il marito, che restò comunque gravemente ferito. Benché si possa ragionevolmente supporre che in famiglia ne avessero altre di pistole, la questione sollevò un polverone sul Ministro dell’Interno – lo stesso Ministro Avakov che alcuni giornali hanno adesso annoverato fra le vittime designate di Shaitanov, salvo poi far dietro-front in seguito alla smentita dell’SBU.

La vicenda Shaitanov si inscrive in un contesto di crescente tensione nella guerra tra spie che oppone Ucraina e Russia. Infatti, mentre la sottoscrizione da parte del Presidente ucraino Zelensky della cosiddetta “formula Steinemeier” e lo scambio di prigionieri – il terzo negli ultimi sette mesi – avvenuto in seguito ad accordi stipulati a inizio aprile hanno fatto parlare alcuni giornali di “allentamento delle tensioni”, di contro, subito dopo l’arresto di Shaitanov, la Russia ha dichiarato di aver “scoperto un gruppo di spie ucraine dedite al sabotaggio e al terrorismo” in Crimea, e ha effettuato arresti fra i ranghi del proprio Servizio di sicurezza, in un “dente per dente” che lascia davvero poco spazio per dissertare di “appeasement”.

Claudia Palazzo


Foto (SBU)