L’altra faccia del dolore

Elena Battaglia Giorgianni, nata a Palermo il 13 Giugno del 1948 e morta a Palermo a causa della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) il 25 Settembre del 2010, era la storica commerciante proprietaria del negozio di abbigliamento a conduzione familiare “Battaglia Esquire Fashion” in via Ruggero Settimo, una delle attività più frequentate di Palermo che la Camera di Commercio ha inserito tra i negozi storici della città.

Nonostante il suo fosse un negozio di gran moda, che vestiva per lo più la classe dirigente e la borghesia palermitana, Elena Battaglia non ha mai dimenticato i più deboli; era, infatti, anche la Presidente e la mediatrice familiare del consultorio “La Casa”, associazione che si occupa di servizi sociali, all’interno della quale per anni ha svolto attività di volontariato, aiutando spesso persone in difficoltà.

Tra le sue passioni, figurano lo studio, la musica classica e la pittura. I suoi ultimi pensieri sono raccolti nel piccolo libro L’altra faccia del dolore che la cognata Elvira Giorgianni Sellerio – sorella maggiore di Vittorio Giorgianni – ha voluto fortemente pubblicare.

Il libro è stato presentato lo scorso 25 settembre presso Palazzo Branciforte, con la partecipazione del Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto Giuseppe Antoci, del Prefetto di Palermo Antonella De Miro, del Rettore Fabrizio Micari e del Group Manager di Fineco Fausto Pellegrino, del Prof. Vincenzo Antonelli, dell’Università Cattolica Sacro Cuore, del Prof. Salvatore Corrao, Direttore UOC medicina interna del Civico e docente dell’Università di Palermo e di Gloria Giorgianni, produttrice televisiva e figlia di Elena Battaglia.

La redazione di questo libro è stata cominciata, inizialmente, dalla stessa Elena Battaglia, per poi svilupparsi successivamente sotto sua dettatura nonostante la malattia le spezzasse il respiro sempre più di frequente. Con le sue parole, l’autrice ha cercato di spiegare come l’altra faccia del dolore sia in realtà un’opportunità di vita che ci viene offerta. Un’opportunità che si può cogliere solo se si dà valore e riconoscimento a ciò che sta capitando durante la malattia, cioè solo se si comincia a fare amicizia con il proprio malessere. 

Provando a ripercorrere attraverso le sue parole ciò che ha vissuto, come in una intervista, è possibile cogliere la speranza di nuova vita che può nascere dalla sofferenza e che deve essere trasmessa ad ogni persona che affronta un momento difficile. Lo scopo di questo libro è infatti quello di dare un senso alla sofferenza: «ho attraversato diverse fasi dapprima la rabbia, poi la non rassegnazione e in ultimo, oggi l’accettazione della malattia come esperienza che trasforma».

Proprio dopo la rabbia iniziale per la cattiveria e cornutaggine della malattia, Elena si è fatta forza cominciando a dialogare con questo male che piano piano prendeva possesso del suo corpo, ma attraverso il quale ha riscoperto sé stessa: «Mi hai tolto le gambe ma mi hai dato pensieri brillanti e pitture luminose. Mi hai diminuito la voce ma mi hai regalato una “vena scrivana” che non conoscevo». La malattia, infatti, come scrive l’autrice, «ti toglie da un lato ma ti dà dall’altro, in una giostra senza fine in cui devi tenerti forte altrimenti rischi di cadere: “Tenersi forte” è l’unica salvezza, una forza che ti viene dal fatto certo che hai ricevuto un “dono” così grande che non puoi permetterti di distruggere».

Il dono a cui faceva riferimento Elena altro non è che quello della vita, per cui è fondamentale apprezzarne ogni aspetto, ed in questo la malattia gioca un ruolo fondamentale: «che le cose non sono eterne, che prima o poi finiscono, ci voleva leiper farmelo capire. (…) L’alternativa alla disperazione infatti è trasformare il dolore in opportunità. Non è semplice resilienza, ma qualcosa di più grande e “magico” che tocca l’anima sofferente per trasformarle in occasione di vita». Senza la SLA Elena non avrebbe avuto la possibilità di dipingere e sperimentare nuove forme creative, la farfalla che ha dipinto stampata in copertina è il simbolo del suo nuovo pensiero.

«Nessuno è prigioniero nel suo corpo, perché l’anima vola e il pensiero produce nuovi orizzonti. (…) è possibile usare il tuo cervello al posto del tuo cuore, anch’esso ha le gambe e addirittura vola. (…) Pensare al passato con nostalgia non serve, ci si fa del male, meglio evitare, ma pensarlo in termini propositivi e di speranza diventa utile per sé e per gli altri, quante cose facevo, ma come le facevo, probabilmente senza dare il giusto valore ed il tempo necessario per goderle… Non è il fare che distingue l’uomo ma ciò che riesce a tenere dentro di sé e ciò che rimane è quello che è vissuto con il cuore». 

Anche il significato del vero amore e delle relazioni viene riscoperto attraverso la malattia, portandoci a riflettere sull’importanza del dare e del ricevere ed infatti “piano piano”, prosegue Elena, «mi ha insegnato a chiedere ormai quasi tutto e così ho dovuto fare un bel bagno di umiltà. Mi ha insegnato che chiedere è anche dare perché l’altro così si sente partecipe del tuo mondo». Chi ti aiuta e ti sta vicino, però, soffre nel vedere un proprio caro ridotto in quelle condizioni: così parlando del marito, che ha definito come un angelo.

Elena Battaglia rimarca l’importanza del ruolo del malato che ha il compito di alleviare la sofferenza di chi cerca di aiutarlo, rendendogli «facile…il suo impegno. Infatti io ho la consapevolezza di aver bisogno di lui ma siccome penso che l’amore è soprattutto rendere libero l’altro, cerco sempre di adattarmi alle cure di chi mi assiste».

Ma amore è soprattutto prendersi cura «come veramente si intende il “prendersi cura” che è fatto di pazienza, amore, sacrificio» e, citando le parole che la volpe rivolge al Piccolo Principe, cioè quella di essere “addomesticata”, Elena sintetizza tutto il significato di prendersi cura di un malato, ed in particolare chi soffre della sua malattia, cioè un comportamento fatto di «pazienza, sacrificio, dedizione, come li ricevo io ogni giorno…avendo grandi capacità di annullamento di se stessi, in poche parole, di grande amore».

La malattia, però, ti porta anche a fare un viaggio introspettivo che ti permette di sviluppare prima di tutto una profonda relazione con te stesso e poi con gli altri. Questo, però, è possibile solo se si arriva alla fase di accettazione della malattia: «il malato può instaurare dei rapporti significativi con le persone che lo circondano, perché nella fase della rabbia non è possibile questo, poiché l’altro diviene un capro espiatorio sul quale scaricare tutta la propria sofferenza. Allora nella fase raggiunta in cui vi è serenità il malato diviene lui stesso promotore di relazione».

In questo modo è possibile occuparsi dei problemi degli altri che si prendono cura di te, in uno scambio di mondi reciproco. Ed è proprio lì che si comincia «ad avere fiducia e speranza ed ebbi la risposta: la mia malattia serviva per aiutare gli altri attraverso uno scambio di amore e di solidarietà».

Elena, infine, manda anche un messaggio indiretto ai medici che spesso mancano di umanità nel trattare i malati, in particolare quelli con determinate patologie. Spesso, infatti, i malati, specialmente quelli terminali, si sentono soli nel rapporto con il medico: «per molti medici il paziente è un caso da tenere in osservazione, da studiare e il medico si sente impotente di fronte ad una malattia inspiegabile, rara e difficile. Allora come si comporta? È spesso confuso. Questa confusione la trasmette al paziente lasciandolo solo e non capisce che forse con la semplice umanità, visto che non ha altri strumenti, potrebbe aiutarlo ad avere fiducia e speranza».

Se non c’è questo, difficilmente il paziente potrà affrontare la malattia con maggiore forza e consapevolezza, alimentando un rifiuto che, però, come dice Elena, nonostante sia fondamentale all’inizio del percorso di elaborazione personale della malattia, poi «è come rifiutare la vita, quindi deve evolvere per maturare la fase del perdono, la più difficile ma benefica per chi riesce ad arrivarci.

Cos’è il perdono? Significa quietare l’anima verso chi ci ha offeso. In questo caso la malattia ha colpito nel fisico la persona ma col perdono questa riesce a riscattare la sua dignità. Perdonare chi? Tutti quelli che non hanno capito, come i medici che mi hanno lasciato nella solitudine. Riuscire a fare questo è fondamentale per poter arrivare all’accettazione che ha una luce che illumina il proprio agire» perché «la sofferenza si deve trasformare in speranza nel sapere gestire la propria malattia…».

Grazie ad Elena Battaglia, oggi, si può trasmettere un messaggio che va ben oltre quello della sofferenza, un messaggio di vita, di amore, di umiltà, di rispetto, di umanità ma, soprattutto, di valore per ogni cosa che ci è concessa in questo mondo e che non va sprecata. Ogni malattia ci permette di guardare la vita in modo diverso e concludendo con le sue parole:

«Questo libro vuole essere un “viaggio” nel dolore per far capire il percorso necessario per arrivare all’accettazione della malattia. Ho imparato a dialogare con essa e ho avuto delle risposte, ho stabilito una relazione con lei di reciproco rispetto dimostrando che anche da un’esperienza sconvolgente come questa si può trarre un’occasione di messaggio utile per tutti coloro che soffrono nel corpo e nell’anima».


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