La “grande vittoria” mancata di Netanyahu

«La più grande vittoria della mia vita». Siamo ormai al 3 marzo, i seggi sono chiusi, e si contano i voti della terza tornata elettorale in 11 mesi. Le seconde exit pool danno il Likud vincitore e Benjamin Netanyahu canta vittoria dal palco dell’expo di Tel Aviv.

Third time’s a charme? Sembra proprio di no. È vero, il Likud di Netanyahu ha battuto il partito Bianco Blu (Kahol Lavan) del rivale Benny Gantz, assicurandosi 36 seggi contro i 33 dell’avversario. Quello che però manca a Netanyahu è una maggioranza. Conteggio concluso e risultati alla mano, la coalizione del premier uscente è ferma a 58 seggi, tre in meno di quelli necessari a stabilire un governo.

Sono stati gli arabi israeliani a sbarrare la strada verso la maggioranza di Netanyahu. La Lista Unita Araba ha ottenuto un risultato storico, assicurandosi 15 seggi grazie a un’affluenza intorno al 65% degli arabi d’Israele. Una mobilitazione di cui Netanyahu e la sua campagna elettorale anti-araba sono involontari corresponsabili, insieme al “piano di pace” del presidente USA Donald Trump.

«La società araba ha fatto un grande passo in avanti e ha raccolto il nostro appello a venire a votare» ha dichiarato Ayman Odeh, leader della Lista. Si tratta tuttavia di un successo che lascia un retrogusto amaro. Un dialogo con Gantz – che in molti arabi considerano come l’altra faccia della stessa medaglia di Netanyahu – sembra difficile se non impossibile e, in definitiva, la Lista Unita continuerà a non avere voce in capitolo in parlamento.

Al momento è arduo prevedere cosa accadrà, e la possibilità che si torni al voto non è affatto remota.

Con Avigdor Lieberman che ha già annunciato il suo sostegno a Gantz, al Likud non resta che sperare in qualche defezione dal partito Blu Bianco. Poco credibile, considerando che si tratta delle stesse persone elette nelle due votazioni precedenti. «Mettiamola così» ha twittato Yoel Razvozov, esponente del partito di Gantz, «è più facile che Netanyahu riesca a spodestare il governo di Hamas che qualcuno di Kahol Lavan lasci per il Likud».

Da parte sua, Gantz ha deciso di colpire Netanyahu nel suo punto debole, ovvero il processo per corruzione che avrà inizio il prossimo 17 marzo: è sua la proposta di legge sulla base della quale chi è accusato di gravi crimini non può formare un governo. «C’è una maggioranza sufficiente – una piccola maggioranza – che potrebbe approvare una legge simile» spiega Adam Keller, portavoce dell’ong israeliana Gush Shalom. «Tuttavia, c’è una serie di procedure parlamentari molto complicate per approvare una legge immediatamente dopo le elezioni. La destra farà di tutto perché non si arrivi a votarla».

E quale è il futuro della sinistra, che si conferma la grande sconfitta? «Molti dicono che l’unico futuro per la sinistra israeliana è un’azione congiunta con i partiti arabi» commenta Keller. «Altri dicono che ci dovrebbe essere un nuovo partito. È difficile dire come andranno le cose, ma certamente la cooperazione fra ebrei e arabi è un punto fondamentale. Da un lato della politica israeliana c’è razzismo, delegittimazione e si dipingono gli arabi come sostenitori del terrorismo, come nemici che non dovrebbero prendere parte alle decisioni. Dall’altra parte c’è chi dice che sono cittadini con gli stessi diritti».

Proprio questi giorni Netanyahu ha dichiarato che gli arabi non contano, che gli unici ad avere voce in capitolo sono gli ebrei. Eppure, in queste terze elezioni, i voti della popolazione araba israeliana hanno contato. Eccome.