Col cuore «giù»: la parola ai palermitani che sono rimasti al Nord

Oramai tutta l’Italia è diventata una “zona rossa” (arancione più precisamente) e siamo tutti invitati a seguire le norme di sicurezza per frenare il diffondersi di Covid-19. Non dimentichiamo comunque che la prima fase di contenimento era legata ad alcune zone del Nord Italia, dove molti nostri conterranei abitano da anni. Nonostante tutta l’Italia sia legata dalla stessa emergenza vige sempre la regola del non spostamento, quindi “scappare” continua ad essere un gesto insensato oltre che perseguibile – eccetto che per motivi lavorativi o di salute.

In quest’ultima settimana abbiamo raccolto queste testimonianze che, ancora di più oggi, sono importanti e fanno capire quale sia il gesto più giusto e amorevole che una persona possa fare nei confronti delle persone care e della propria terra natia.

Parlano loro, giovani lavoratori, gente che è dovuta andare fuori dalla Sicilia per trovare un futuro lavorativo migliore; parlano loro che, siano sei anni o meno di uno, sono sempre con il cuore a casa, ma con la mente verso il loro domani. Parlano loro, che in un momento di forte disagio e paura, hanno preferito resistere e combattere come possono: con il senso civico e il rispetto.

Chi va ogni giorno a lavoro

(Marcella) Sono un medico, lavoro presso il Policlinico S. Matteo di Pavia. Quando è iniziato tutto, ormai più di 3 settimane fa, coi primi contagi, sembrava solo poco più di una influenza, quella a cui siamo abituati ogni anno, quella contro cui ci consigliano caldamente di vaccinarci ma comunque se la prendi, sei giovane e forte , basta una settimana  a casa e ti passa tutto. Poi i primi ricoveri in rianimazione. Il “paziente 1”, un giovane di 37 anni, viene ricoverato presso l’ospedale in cui lavoro perché non risponde alle terapie convenzionali e ha necessità di cure intensive; i contagi  e i ricoveri  aumentano in modo esponenziale, e ancora e ancora e ancora.

Ho visto l’ospedale trasformarsi. Prima ci piaceva riunirci, svolgere le nostre normali attività quali l’ambulatorio, la sala operatoria, i prericoveri, il pronto soccorso, la rianimazione. Le nostre attività quotidiane e routinarie vengono ridotte, pensando che, nell’arco di una settimana, tutto sarebbe tornato come prima. Invece i ricoveri aumentano, le attività quotidiane cessano, le sale di elezione chiudono, la rianimazione ha solo pazienti intubati con diagnosi di polmonite massiva bilaterale, perché non riescono a respirare da soli o coi normali mezzi per l’ossigenoterapia; i reparti di medicina interna vengono trasformati affinché si possano accogliere i pazienti con la polmonite, i reparti di chirurgia accorpati perché ci sono ancora quei pochi pazienti che non possono essere dimessi o trasferiti, servono posti letto per i pazienti con la polmonite da COVID-19; il personale infermieristico viene trasferito per aiutare i colleghi nei reparti in difficoltà.

Nel frattempo la paura aumenta, perché, è vero siamo medici, infermieri, oss, tecnici e lo abbiamo scelto, ma quando abbiamo intrapreso questa strada certo non immaginavamo di trovarci in una situazione del genere, quindi la paura c’è, per te, per i tuoi colleghi, per i tuoi cari, per i tuoi amici. Vi dico questo: pensate a chi muore e non può salutare per l’ultima volta i suoi affetti perché potrebbe contagiarli, pensate al personale sanitario che sacrifica se stesso e la sua famiglia per aiutare i pazienti ricoverati a ritornare dai loro cari, pensate che vorrebbero essere a casa ma non possono, pensate ai vostri genitori, nonni, figli, fratelli, amici che, se contagiati, potrebbero essere i prossimi pazienti intubati, ricoverati. Restate a casa, io e i miei colleghi non possiamo ma voi sì.

Policlinico San Matteo – Pavia

(Giuseppina) Abitando a Bergamo, l’aria che si respira è molto tesa. Lavorando a contatto con il pubblico vedo molta paura, ma pure molta disinformazione. Prima dell’inizio di questa settimana si vedevano ancora le persone passeggiare, ma da domenica – 8 marzo ndr – la città è quasi sempre deserta. Le persone girano solo per venire al supermercato, dove lavoro, per comprare i beni di prima necessità. Dopo le 18 chiude tutto, bar, ristoranti e negozi. Dove lavoro io, dopo le 18, non viene quasi più nessuno. I miei genitori al sud sono abbastanza preoccupati, cerco di rassicurarli, ma la preoccupazione è tanta. Non nascondo che quando ho saputo che chiudevano la Lombardia sarei voluta scappare anche io come tutti gli altri, ma dentro me è prevalso il senso civico, l’amore per i miei cari e la mia terra, quindi sono rimasta a Bergamo, terra che mi ha accolta con amore e che mi ha dato una piccola luce per il mio futuro. Sono sicura che grazie alla forza di tutti e stando attenti alle regole ritorneremo alla normalità.

(Valentina) Sono una siciliana trapiantata al Nord da 6 anni. Mi sono trasferita a soli 22 anni e nonostante le decine di difficoltà che ho incontrato durante la mia permanenza, sono sempre stata fedele alla mia scelta di costruire qui, a Milano, il mio futuro. In un momento delicato come questo, la difficoltà più grande è quella di tenere la calma. Bisogna comportarsi da persone coscienziose e razionali perché la paura, seppur lecita, è un mostro da contrastare. Ci ritroviamo inermi di fronte ad una situazione più grande di ogni aspettativa e forse ci siamo ritrovati spiazzati dalla consapevolezza di non essere onnipotenti, anzi… di essere addirittura deboli. In Italia ci siamo dimostrati largamente incapaci di rispettare le regole che ci sono state imposte e ciò ha determinato maggiori ristrettezze per tutti.

Sono una delle poche persone a cui viene pretesa la presenza in ufficio, e ciò implica che ogni giorno entro a contatto con un numero considerevole di persone ma, purtroppo non ho alternative. La colpa sicuramente è di una mentalità retrograda e conservatrice, poiché vige l’idea che “se non sei in ufficio, non stai lavorando”, e la beffa sta addirittura nel fatto che il mio lavoro è svolto interamente al pc quindi, effettivamente, sto andando in ufficio a “riscaldarne la sedia” e non perché la mia presenza sia di assoluta necessità. Quello che faccio in ufficio potrei farlo in qualsiasi parte del mondo. Essere una fuori sede è sempre difficile, persino per chi come me ha scelto, voluto e desiderato una vita “fuori”. La lontananza dai genitori in momenti del genere è straziante ma la scelta migliore e la più sana che possiamo fare è quella di rispettare noi stessi e gli altri, evitando di mettere in pericolo la popolazione per il nostro desiderio egoistico di stare vicino alla mamma. Dimostriamoci adulti responsabili e dimostriamo di meritare l’affetto di una città (o di una regione) che ci ha accolti come figli, che ci ha donato speranza e opportunità lavorative che non avremo mai avuto nelle nostre terre natie.