Chiuso per pandemia

«Ho fatto un patto con la mia coscienza: al primo posto c’è e ci sarà sempre la salute degli italiani. Solo pochi giorni fa vi ho chiesto di cambiare le vostre radicate abitudini di vita, rimanendo a casa, uscendo solo lo stretto necessario […] quando ho adottato queste misure, che limitano alcune delle nostre amate libertà, ero consapevole che si sarebbe trattato di un primo passo e ragionevolmente non sarebbe stato l’ultimo». Con queste parole, vibranti d’emozione, lo scorso mercoledì il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha annunciato all’Italia l’adozione di ulteriori misure di prevenzione e sicurezza, volte al contenimento dell’emergenza coronavirus.

Il decreto 11 Marzo 2020 in particolare ha predisposto la chiusura, a valere dalla sua entrata in vigore e sino al 25 marzo prossimo, di tutte le attività commerciali di vendita al dettaglio, ad eccezione dei negozi di generi alimentari e di prima necessità, delle farmacie, delle parafarmacie.

Chiudono dunque negozi, bar, pub, ristoranti, lasciando intatta la possibilità di effettuare consegne a domicilio; chiudono parrucchieri, centri estetici, servizi di mensa che non garantiscono la distanza del metro di sicurezza; chiudono, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati all’aperto, non essendo possibile regolare l’afflusso delle persone, mentre quelli coperti, così come i centri commerciali, restano aperti ma con l’obbligo di contingentare le entrate dei clienti.

Si ferma l’Italia e si ferma Palermo. Sulle strade del Capoluogo siciliano cala un silenzio innaturale mentre le saracinesche vengono abbassate una dopo l’altra. La gente rimane a casa e il centro storico si spegne tra la preoccupazione e l’incredulità crescenti degli esercenti.

«Per tutti noi del mondo della ristorazione e del commercio in genere, questa situazione si sta tramutando in una vera e propria tragedia che per molti sarà irreparabile» commenta Marco Mineo, titolare del “Cavù”, famoso locale della movida palermitana e di “Salamino Pane e Vino”, pregiata enoteca e salumeria del centro storico. Sulla pagina Facebook di quest’ultima, nello specifico, all’indomani del decreto Conte campeggiava il seguente avviso “da oggi Salamino Pane e Vino si reinventa… perché ha voglia di non morire, perché io ho voglia di non morire, e allora da ricercata enoteca e salumeria diventiamo momentaneamente anche negozietto di alimentari di quartiere”.

Marco continua dunque a lottare, pur auspicando norme meno contraddittorie e una più marcata tutela da parte del Governo. «Dato il carattere straordinario dell’evento in corso, servirebbero aiuti e misure di protezione delle attività economiche, altrettanto straordinari – afferma – Un locale come il Cavù ha circa 20.000 euro di spese al mese e, rimanendo chiusi, la situazione si aggrava. Affitti, bollette, leasing, mutui, prestiti, dipendenti e nessun introito. Noi piccoli imprenditori del centro storico di Palermo abbiamo praticamente esaurito il conto in banca e già in molti hanno preso in considerazione l’idea che potrebbero non riuscire ad aprire più, una volta passata l’emergenza».

Cavu’ Palermo

Una testimonianza drammatica, quella di Mineo, che purtroppo rispecchia pienamente il vissuto della generalità delle attività commerciali nelle città al tempo del coronavirus che, strette tra la paura del contagio e le recenti misure governative, vedono sempre più a rischio la loro bilancia dei pagamenti oltre al rapporto di fiducia con la clientela, instaurato con la fatica e il sudore della fronte.

«Ci troviamo in una situazione di azzeramento delle attività commerciali, dei servizi, del turismo. Quella odierna, che prevede soltanto l’apertura dei negozi di generi alimentari e di prima necessità, è un’economia malata» spiega Patrizia Di Dio, Presidente di Confcommercio Palermo.

«Certamente il primo scoglio imprescindibile è dato dal superamento dell’emergenza. Nello specifico, occorrerà verificare se, con questo sacrificio economico immane, cui ci stiamo sottoponendo, saremo riusciti o meno a raggiungere, nelle prossime settimane, l’obiettivo primario della salute pubblica. Sotto questo profilo bisogna ammettere che l’Italia sta dando grande prova di capacità, di solidarietà, di responsabilità, di senso quasi nazionalistico. Abbiamo, infatti, un sistema sanitario che per quanto criticato, per quanto in difficoltà, risulta improntato ai valori dell’accoglienza, ha nel DNA la tendenza al rispetto dell’altro».

Quanto, invece, alle azioni più immediate ed urgenti Di Dio sottolinea che «occorre innanzitutto bloccare tutti gli impegni di tutte le aziende relativamente ad imposte, tasse, contributi previdenziali». «Ulteriormente, se anche le attività riprendessero davvero il loro corso ordinario il 25 marzo prossimo, dovremo essere pronti a rimettere concretamente in moto l’economia. Quest’ultima in particolare si nutre di fiducia e mentre i beni di prima necessità sono presi addirittura d’assalto, con impeto quasi irrazionale, per tutto il resto sarà necessario rimettere in moto un clima di positività nonché riuscire a lasciarsi alle spalle questa sensazione di pericolo che stiamo vivendo per noi, per le nostre famiglie e per il nostro Paese.

In tal senso, bisognerà fare ricorso ad interventi risarcitori, di indennizzo dei danni che le aziende stanno subendo perché, in ogni caso, come faremo a pagare le tasse se non abbiamo avuto di fatto redditi su cui contare? Così come si sta giustamente pensando all’introduzione di ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti, occorrerà dunque pensare ancor prima alle imprese che daranno loro uno stipendio legato ad un reddito.

A Palermo e in provincia le aziende sono 100mila e i lavoratori 250mila il che dà la cifra di quella che sarebbe la devastazione cui andremmo in contro qualora dallo Stato non arrivassero interventi adeguati, non meramente sospensivi. Noi siamo quel mondo delle micro piccole e al massimo medie imprese che hanno sempre saputo affrontare le crisi fin qui incontrate ma stavolta da soli non possiamo uscirne. Stavolta abbiamo bisogno di sostegno perché se muore la piccola impresa muore l’Italia».

Non meno drammatica risulta poi la posizione dei mercatari. Giovedì scorso, sulla pagina Facebook di SOS Ballarò è apparso un comunicato a firma dell’associazione Sbaratto, che ormai da due anni gestisce il mercato dell’usato di San Saverio all’Albergheria.

«L’associazione Sbaratto si è adeguata alle misure nazionali per il contenimento del Covid-19. Nessun banchetto montato da qui allo scadere delle restrizioni. Potreste dirci “Perché ce lo state comunicando? È vostro dovere stare a casa”. È vero, è nostro dovere e infatti ci stiamo adeguando. Ma ci piacerebbe spiegare che il coronavirus – forse a causa del suo nome regale – è una malattia classista: ogni crisi presenta un conto più salato a chi è già in difficoltà.

Se hai una casa comoda dove poterti rintanare, può essere noioso ed avvilente rinunciare alla tua vita normale, ma è molto peggio se sei davvero solo/a o se abiti insieme ad altre cinque persone in un umido monolocale al piano terra. Per non parlare di chi ha un posto letto in un dormitorio o neppure quello. E, infine, il focolare domestico rischia di essere il meno sicuro dei rifugi se vi abita la violenza. Pensiamo poi alla scuola. Fare lezione online non è il massimo, ma per quei bambini che non hanno né computer, né connessione, tutt’al più uno smartphone con il vetro in frantumi, non è affatto semplice restare al passo.

Se hai uno stipendio garantito, qualche risparmio da parte o un sussidio dignitoso, può essere perfino un sollievo “allentare il ritmo”. Ma per quelli che si industriano a racimolare qualche spicciolo per le necessità basilari, anche non lavorare per un paio di giorni può significare non apparecchiare la tavola (sempre che ce l’hai), figuriamoci settimane. E per chi pensa che il reddito di cittadinanza abbia abolito la povertà, diciamo che, certo, ha dato sollievo a molte persone in difficoltà, ma ci sono donne, uomini e bambini così ai margini che non accedono nemmeno alle misure di sostentamento pubbliche. In definitiva, i sacrifici che tutti dobbiamo fare, non sono uguali per tutti.

Le cose di cui parliamo le abbiamo ben presenti, perché riguardano diversi dei membri dell’associazione “Sbaratto”. Il mercato dell’Albergheria, da quando è nato, ha avuto la funzione di ammortizzatore sociale dal basso, detto con parole più semplici: è fatto da poveri che si rimboccano le maniche e si aiutano a vicenda. In questo momento difficile per tutti, l’associazione Sbaratto non perde di vista la sua missione e – grazie al sostegno dell’Assessorato alle politiche sociali del Comune di Palermo, alla Prima Circoscrizione e al Banco alimentare – organizzerà una distribuzione di cibo per le famiglie dei venditori più in difficoltà».


Copertina di THOR

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