Aumentano gli abolizionisti: il Colorado abolisce la pena di morte
“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”. Così Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene scriveva della pena di morte, uno strumento che ancora oggi anima il dibattito pubblico mondiale.
È di queste settimane la notizia ufficiale dell’abolizione della pena capitale in Colorado, che dal 1 luglio 2020 non attuerà più la pena di morte. Il dibattito legislativo per giungere a questa conclusione è stato duro e anche molto travagliato. Con il voto di mercoledì 26 febbraio lo Stato del Colorado si candida a diventare il 22° stato americano ad abrogare la pena di morte.
Dopo l’approvazione in Senato – avvenuta il 31 gennaio – anche la Camera dei rappresentanti (la Colorado House), a maggioranza Democratica, ha approvato il disegno di legge con 37 voti favorevoli e 27 contrari. Ora spetterà al Governatore dello Stato, Jared Polis, decidere se firmare il disegno di legge, permettendone di fatto l’entrata in vigore. Il governatore, come già annunciato in precedenza, si era dimostrato favorevole all’abrogazione della pena di morte. Salvo clamorosi ripensamenti il Colorado si unirà agli attuali 21 Stati abolizionisti.
La legge non avrà efficacia immediata, ma varrà soltanto per i reati commessi dopo il primo luglio 2020. Non è questo un dato secondario. Attualmente sono tre le persone detenute nel “braccio della morte”, ossia persone in attesa che la loro condanna alla pena capitale diventi esecutiva. Nell’ordinamento del Colorado, infatti, il potere di dare esecuzione alla pena di morte, così come il potere di grazia e di commutare le pene, è prerogativa del singolo Governatore.
In teoria gli effetti dell’abrogazione non incidono sul destino dei tre uomini, ma è evidente che si pone una questione di giustizia sostanziale: è giusto applicare la pena di morte dopo averla abrogata? Il Governatore Polis in proposito si è mostrato cauto, dichiarando che giudicherà le richieste di clemenza caso per caso.
Il dibattito ha visto schierati da una parte i Repubblicani, compatti a difendere la pena di morte, dall’altra i Democratici, sostenitori dell’abrogazione. Non tutti, tra i Democratici, hanno votato nella stessa direzione. Tra questi la senatrice Rhonda Fields. Suo figlio, Javad, fu ucciso nel 2005 insieme alla fidanzata da due dei tre uomini che ora si trovano nel braccio della morte. Javad fu ucciso poiché avrebbe dovuto testimoniare in un processo per omicidio.
«Noi stiamo dicendo che se uccidi una persona, due persone, tre persone […] si può sparare a quante più persone possibile, tutti ricevono la stessa pena […] e la pena è l’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata» ha dichiarato Rhonda Fields durante il dibattito in Senato. Gli stessi toni ha avuto Tom Sullivan, rappresentante Democratico alla Camera. Per più di un’ora ha ricordato i fatti del massacro di Aurora, elencando i nomi delle vittime tra cui suo figlio Alex.
«Non sarò io a dire alla prossima famiglia che dovrà sopportare per una vita intera ciò che ho sopportato io, cosa deve essere la giustizia per loro». I Democratici invece hanno sostenuto che la pena di morte non solo non è un deterrente contro il crimine, ma rappresenta anche un’ingiustizia, in quanto colpisce maggiormente la comunità afroamericana. A livello nazionale il 41% delle persone presenti nel braccio della morte sono nere, sebbene gli afroamericani siano il 12% della popolazione statunitense. Inoltre, è evidente che colpisce le classi più povere del Paese.
C’è anche un problema legato ai costi. Diversi studi mettono in luce i costi connessi a un processo con commutazione della pena di morte: circa 3,5 milioni di dollari, contro i 150 mila per un processo con ergastolo. Costi che, quasi sempre, sono a carico dei contribuenti.
Nel 2012 James Holmes, il ventiquattrenne ex dottorando di neuroscienze, durante la prima del film Il cavaliere oscuro – il ritorno si introdusse nel cinema di Aurora in cui avveniva la proiezione e aprì il fuoco uccidendo 12 persone e ferendone 58. Nel processo che seguì, la giuria riconobbe la sua colpevolezza ma non raggiunse l’unanimità per infliggergli la pena di morte. Un giurato, infatti, si oppose per motivi morali. Quest’esempio, così come altri, dimostra come casi uguali o simili possano ricevere trattamenti diversi. Può accadere cioè che per fatti meno cruenti la giuria possa decidere la condanna a morte.
Le difficoltà e le contraddizioni presentate hanno indotto infine la maggioranza dei parlamentari del Colorado ad abrogare la pena di morte, sostituendola con la carcerazione a vita. Ma la battaglia si presume non sia finita. Diversi Repubblicani hanno già dichiarato che torneranno alla carica, sia per spingere ad una sua reintroduzione nella prossima legislatura, sia per indire un referendum popolare.

Secondo i dati di Amnesty International, nel 2018 si sono registrate almeno 690 esecuzioni in 20 Paesi, una diminuzione del 31% rispetto al 2017 (almeno 993). Questa cifra rappresenta il numero più basso di esecuzioni registrato da Amnesty International nel corso degli ultimi dieci anni. La maggior parte delle esecuzioni ha avuto luogo in Cina, Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq. Ancora una volta, il maggior numero di detenuti è stato messo a morte in Cina.
È però impossibile ottenere cifre precise sull’applicazione della pena capitale nel Paese, poiché i dati sono considerati segreto di Stato. Pertanto la cifra di almeno 690 persone messe a morte in tutto il mondo non comprende le migliaia di esecuzioni che si ritiene probabilmente abbiano avuto luogo in Cina. Nel mese di novembre le autorità del Vietnam hanno indicato che nel corso del 2018 sono state eseguite 85 sentenze capitali, il che pone il Paese tra i cinque maggiori esecutori nel mondo.
Non solo, ma dal rapporto di Amnesty International si evince come nel 2018 sono stati diversi i minori di anni 18 che sono stati messi a morte. Tutto questo è inaccettabile, la pena di morte rappresenta davvero l’emblema del trattamento inumano e degradante a cui una pena non può assolutamente ispirarsi.