Tregua in Siria, qual è il prezzo del cessate il fuoco?

Lo scorso 5 marzo, a seguito dei recenti drammatici sviluppi della crisi siriana, il Presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyp Erdogan, incontratisi a Mosca, hanno concordato una tregua ad Idlib, l’ultima provincia della Siria in mano ai ribelli jihadisti.

Dopo sei ore di trattative, i due leader sembrano aver raggiunto un’intesa volta ad arrestare, almeno per il momento, le tensioni che hanno coinvolto il Nord-ovest del Paese. A partire dal dicembre 2019, infatti, il governo centrale di Bashar al-Assad ha lanciato una nuova offensiva per riconquistare la regione di Idlib, ottenere il controllo delle due arterie stradali M4 e M5 che collegano Damasco ad Aleppo, e spingersi così fino al Mediterrane

o. A seguito delle diverse operazioni che hanno progressivamente consentito all’esercito di Damasco di riconquistare la maggior parte del territorio siriano, nell’area di Idlib si trovano adesso concentrate numerose organizzazioni dell’opposizione al regime di Assad. È essenzialmente questo il motivo per cui, al fine di garantirsi il controllo del territorio e scongiurare una nuova ondata di profughi siriani oltre il confine turco, la Turchia non sta esitando a reagire con fermezza, a sostegno dell’opposizione armata, contro l’avanzata di Damasco.

Non c’è dubbio sul fatto che la regione di Idlib rappresenti un’area molto delicata per gli snodi del conflitto siriano tanto da essere già soggetta ad un accordo di non belligeranza tra Russia e Turchia. Nel settembre 2018, a Sochi, Putin ed Erdogan hanno raggiunto un’intesa che sancisce la realizzazione di un’area demilitarizzata lungo il confine meridionale della regione di Idlib, con l’obiettivo di separare i ribelli jihadisti dai lealisti, fedeli al governo centrale di Damasco.

L’accordo tra i due principali attori esterni del conflitto siriano avrebbe dovuto comportare il disarmo e lo smembramento, da parte della Turchia, delle organizzazioni terroristiche jihadiste attive nella regione di Idlib. Tuttavia, il consolidarsi, proprio nell’area di demilitarizzazione, della supremazia delle milizie jihadiste di opposizione ha reso particolarmente difficile l’applicazione del compromesso di Sochi. Nel 2019, il regime assadista siriano, sostenuto dall’aviazione russa, ha utilizzato il mancato rispetto dell’accordo da parte di Ankara come giustificazione per frequenti violazioni della tregua di Sochi, volte ad evitare l’ulteriore consolidamento del dominio dei ribelli e, dunque, del regime turco in quell’area.

Per assicurarsi un trionfo strategico contro l’Occidente, la Russia di Putin, che dall’inizio del conflitto (2011) appoggia il governo di Damasco e vorrebbe la vittoria di Assad sull’ultima area sotto il controllo dei ribelli, potrebbe adesso mirare, come scrive Simon Tisdall del Guardian, “ad un ritiro totale o parziale della Turchia da Idlib e dalle aree nordorientali, dominate dai curdi, che Erdogan ha invaso nel 2019”. Nonostante le difficoltà militari di Erdogan, che ormai da dicembre risponde in controffensiva agli attacchi dell’esercito centrale ad Idlib, Putin non avrebbe alcun interesse ad indebolire ulteriormente la Turchia e a rinunciare definitivamente al dialogo strategico con Ankara per la gestione del conflitto siriano.

Anche adesso che Erdogan appare isolato, avendo ripetutamente criticato la NATO e l’alleato statunitense oltre che pressato l’Unione Europea sulla questione migranti al confine turco-greco, Putin sembra infatti intenzionato ad evitare uno scacco matto, provando piuttosto a spingere sul cessate il fuoco e ad impedire un confronto diretto tra Ankara e Damasco.

Secondo l’analisi di Matteo Colombo dell’ISPI, il nuovo accordo di Mosca – che prevede una tregua dalla mezzanotte del 6 Marzo, ora locale, su tutto il fronte di Idlib, l’instaurazione di un corridoio di sicurezza russo-turco esteso per 6 chilometri a nord e a sud dell’autostrada M4, che collega Aleppo a Latakia, e, quel che è più importante, il pattugliamento congiunto, a partire dal 15 marzo, lungo la medesima rete viaria – rimanderebbe così “la decisione finale della regione ad una conferenza specifica sul futuro della Siria”.

Benché sia Erdogan che Putin abbiano guardato all’intesa come ad un accordo senza precedenti, a salvaguardia della popolazione di Idlib, vale la pena ricordare che, come già il compromesso di Sochi, quella appena stipulata è una tregua facilmente suscettibile di violazioni, le quali svelerebbero – peraltro senza sorprese – il carattere tattico e temporaneo di un’intesa, quella turco-russa, capace ancora una volta di sacrificare il raggiungimento di un accordo giusto e duraturo per una Siria sempre più stremata dalla crisi umanitaria.


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