Femminismo e intersezioni

Uomo transgender non binario, attivista queer, femminista radicale e intersezionale, blogger, scrittore, ingegnere-architetto, autore di paper scientifici nel campo dei beni culturali e nella gestione di eventi. Esplorando l’identità in tutte le sue sfumature e analizzando con una semplicità disarmante il femminismo intersezionale, Ethan Bonali sfida contraddizioni di senso e propone una prospettiva di inclusione anche al femminismo radicale (normalmente associato al femminismo chiuso e trans escludente).

Ha vissuto per un anno in Brasile in una ex favela di San Paolo dove ha avuto la possibilità di osservare le dinamiche della comunità transgender e approfondire i propri studi sull’architettura d’emergenza e l’approccio anti-specista applicato alla città. Vincitore di concorsi letterari, autore per il blog Abbatto i Muri dal 2015, per Pasionaria e Gaypost. Dal 2014 è impegnato nella lotta contro la corruzione e le infiltrazioni della criminalità organizzata negli Enti pubblici di ricerca collaborando con diverse procure, portando avanti interrogazioni parlamentari e scrivendo articoli. È cofondatore del blog dedicato alle identità non-binarie Nonbinary italia e del gruppo Non Una di Meno – Marche.

Attivista queer, femminista, blogger, scrittore, ingegnere… nient’altro? Vuoi raccontarci chi sei?

«Ho la necessità di utilizzare sempre moltissimi termini per definirmi. Alcuni sono gli stessi dall’infanzia, altri sono legati al momento. Inizio da quelli che non mi fanno dormire la notte: attivista e scrittore. È stato un lungo processo di crescita quello per diventare attivista. Prima di interessarmi veramente al “fare politica” e all’elaborare cultura – per me è questo che significa fare attivismo – mi sono occupato di grandi catastrofi, ed in particolare di terremoti. È stato dopo aver perso tutto – lavoro, casa, compagna – che mi sono messo in discussione.

Inizialmente fare politica è stato un modo per ricostruirmi, trovare gratificazione, comprendere di avere un valore come persona. Questa non è la migliore delle motivazioni. Ma con il tempo sono maturato fino a dare un reale e solido contributo culturale al movimento lgbt+ ed oggi sono tra i coordinatori della rete trans nazionale di Arcigay – tra i simboli del rinnovamento di questa associazione – e ad essere tra gli organizzatori di TransVisioni, una serie di incontri di politica transgender che coinvolge più di venti realtà trans italiane.

Siamo usciti dall’egemonia di poche realtà associative collegate ai centri di controllo dei corpi non conformi. Altro aspetto che mi toglie il sonno è l’essere scrittore. Finora ho scritto contributi per raccolte di saggi sul femminismo e sulla violenza di genere, quest’anno farò uscire un libro dedicato al non binarismo di genere.

Questi due aspetti sono divenuti stabili nella descrizione di me. Ci sono poi parole che mi porto dietro dall’infanzia, come straniero, introverso, gender creative. Il senso di estraneità è dovuto al non riuscire a riconoscermi, fin da piccolo, in nessun mondo. Ero estraneo al mondo femminile – che mi chiudeva tutte le porte – ed estraneo, per motivi di differenza fisica che si rifletteva poi nei ruoli sociali, al mondo maschile.

Le donne mi chiudevano tutte le porte. Mia nonna, che faceva la sarta, mi chiudeva la porta del suo laboratorio quando venivano le clienti o quando si riuniva con le colleghe. Gli uomini le porte me le aprivano. Porte di bottega del calzolaio, di bottega del falegname, consessi di pescatori sul molo. Eppure restavo sempre in disparte. Né l’uno né l’altro. E questo mi portava al silenzio, nel quale potevo ascoltare e riflettere.

Aggiungiamo qualcosa di personale e legato al momento: single, disincantato ma probabilmente ancora romantico. Esco da una relazione sulla quale avevo puntato molto ma che mi ha molto deluso. Questo mi ha portato a pensare “mai più, fino alla prossima volta”. L’ironia è importante per mantenere l’equilibrio tra il disincanto e il restare un romantico. È molto importante che i due aspetti abbiano un cuscinetto tra loro. Sono tante cose. Penso che, nonostante io non veda tutti i collegamenti tra i vari aspetti di me, questi siano collegati. E sono questi collegamenti che mi mandano avanti e che non mi fanno mai stare fermo».

Perché ti definisci femminista radicale? Non è un po’ un controsenso, considerando il tuo approccio intersezionale?

«Capisco il senso della tua domanda. Il lavoro che mi prefiggo è quello di lavorare sulle contraddizioni e trovare i passaggi di significati tra realtà che possono anche essere contraddittorie. In questo caso, però, non lo sono.

Ho iniziato posizionandomi all’interno del femminismo intersezionale e pensando che il femminismo radicale fosse in contrasto con esso. Ho cambiato idea grazie a Lea Melandri che, ad una conferenza alla quale partecipai all’Università di Bari, e in cui si accostava il termine femminismo radicale alla posizione politica di alcuni gruppi escludenti nei confronti delle donne transgender e delle sexworker, si alzò e – mi ricordo la sua fierezza – disse di non lasciare il termine “radicale” a quelle frange di femminismo.

Stava rivendicando l’appartenenza ed il valore di una produzione teorica preziosissima e molto distante dalle realtà che discriminano certe minoranze. In effetti radicale significa andare alla radice delle cose, non permettersi una visione superficiale. E questo mi appartiene senza dubbio.

La mia produzione culturale e il mio stesso carattere sono l’incontro tra la contaminazione di ogni aspetto e il bisogno di conoscerlo, di non ignorare domande. Quindi sì, sono femminista radicale ed intersezionale. E se questa è una contraddizione, penso sia estremamente feconda».

Collegandomi alla contraddizione feconda di cui sopra: visti i sempre più frequenti dibattiti tra femminismo radicale e transfemminismo, perché una femminista donna biologica non dovrebbe sentirsi minacciata nella sua identità e nei suoi diritti dalla realtà trans, per quel che riguarda la procreazione ed altre tematiche tanto spinose quanto delicate?

«Più che tra transfemminismo e femminismo radicale, parlerei di interpretazioni dei due perché non sono veramente in contrasto. Intanto c’è una differenza temporale tra i due che può farci pensare che il secondo possa avere radici dal primo e che il primo si sia evoluto ed involuto a seconda degli sviluppi che hanno dato le varie appartenenze ad esso.

Per stringere, è solamente una parte di femminismo, quello che ha reso le istanze radicali talmente rigide da diventare escludente verso molte realtà, ad essere in contrasto con il transfemminismo, che invece allarga le istanze femministe a tutto ciò che è in contrasto con il patriarcato, e quindi alle persone trans, intersex, gnc, non binary, queer eccetera.

Seconda cosa. Credo che la categoria donna, come in gran parte del pensiero femminista, sia una categoria slegata dai genitali. Detto questo credo che le donne cisgender si sentano minacciate nella propria identità dalle realtà che, con la propria esistenza, fanno crollare la costruzione binaria e patriarcale della società occidentale. Ed è giusto che si sentano minacciate. È un passaggio politico e di consapevolezza importante.

L’identità “donna” ha radici nel colonialismo, nel capitalismo, nel patriarcato, nonostante le grandi conquiste fatte. Non si è distrutta per intero la casa del padrone perché si sono continuati ad utilizzare gli attrezzi del padrone. Ci sono questioni cui non si è andat* alla radice. Le esistenze “altre” (im)pongono la scelta di abbandonare la zona di comfort conquistata all’interno della società patriarcale. Questo fa giustamente paura.

Anche nel mondo lesbico – che ha prodotto pensiero come “le lesbiche non sono donne” – vi è timore nei confronti di chi non è normato e quindi delle persone non binarie. Questo non si risolve in una aperta ostilità – lascio perdere Arcilesbica e mi concentro sul movimento emergente – ma in una volontà anche non del tutto conscia, di controllo ed inclusione con de-potenziamento delle realtà che creano “confusione identitaria”. Non sono le donne transgender ad essere un “problema”, ma le persone non binarie.

A livello di diritti, le donne cisgender non hanno nulla da temere. Assisto a campagne di vero e proprio panico morale e sociale contro le donne trans, utilizzando argomentazioni assolutamente affini ai gruppi di suprematismo bianco – e torniamo alle radici non discusse fino in fondo della categoria donna.

Per quanto riguarda la procreazione, non sono le donne ad essere minacciate, ma l’idea assolutamente costruita di una famiglia in cui gli unici ruoli riconosciuti siano quello di padre per l’uomo e di madre per la donna. Sono le basi della società occidentale ad essere messe in discussione. La difesa dei diritti delle donne è strumentalizzata per mantenere le cose come stanno».

Usa questo spazio per rivolgerti direttamente ai lettori di Eco Internazionale. Allega quello che vuoi, una poesia, un disegno, una canzone, una citazione o quello che senti più adatto.

«Vorrei rivolgermi alla comunità Trans* in prima battuta, invitandola ad abbattere i miti che la mantengono “infantile” ed infantilizzata. Non ci servono miti, ci serve il contatto con la realtà. Chiedo alla comunità trans di non accettare che siano pochi a farsi portavoce delle proprie istanze e di non accettare di essere sempre sotto tutela altrui.

Se il caso della carenza di farmaci per la transizione, che sta andando avanti da più di un anno dopo la denuncia del Gruppo Trans di Bologna, dovesse essere risolta mettendo dei farmaci vitali per le persone transgender in fascia H – ovvero gratuiti ma dispensati da centri prescrittori – si accetterebbe un’altra forma di gatekeeping per l’autodeterminazione, la salute ed il benessere delle persone transgender in nome del mantenimento di un apparato non necessario e i cui costi ricadono sulle persone transgender stesse.

Il secondo appello è di chiedere alla comunità trans quello di iniziare a denunciare gli abusi che si subiscono. È necessario un metoo che porti alla luce quello che le persone transgender subiscono, perché in posizioni fragili e sotto ricatto, o che subiscono direttamente dalle istituzioni. E occorre denunciare anche, in caso vi fossero, le associazioni trans che dovessero coprire un sistema di abusi».


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