Donne e scienza: storia di un rapporto complesso

Un successo al femminile ha segnato l’esperienza positiva del laboratorio di Virologia dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma: Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti sono le ricercatrici, tra le prime in Europa, riuscite nell’impresa di isolare il coronavirus. Un passo fondamentale per sviluppare e perfezionare la diagnosi, la cura e la messa a punto del vaccino.

Maria Rosaria Capobianchi, 67 anni, nata a Procida, è laureata in scienze biologiche e specializzata in microbiologia. È capo del laboratorio di virologia dello Spallanzani. Concetta Castilletti è responsabile dell’Unità dei virus emergenti. Originaria di Ragusa, è specializzata in microbiologia e virologia ed è soprannominata “mani d’oro”. Francesca Colavita, da 4 anni nel laboratorio, dopo diverse missioni in Sierra Leone per fronteggiare l’emergenza Ebola è allo Spallanzani con un contratto di collaborazione e solo una settimana fa è stata avviata la procedura per la sua assunzione come dirigente.

Nel dream team che ha isolato il virus sono presenti Fabrizio Carletti, esperto nel disegno dei nuovi test molecolari e Antonino Di Caro, che si occupa dei collegamenti sanitari internazionali. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato: «Sono state tre donne a portare a termine l’isolamento del coronavirus. È bello che lo siano».

«Il risultato ottenuto nel laboratorio di ricerca dell’Istituto Spallanzani guidato dalla professoressa Capobianchi certifica ancora una volta la dedizione, la professionalità e l’elevata qualità scientifica del mondo della ricerca italiano. Una squadra per lo più al femminile, a cui va la gratitudine dell’intero Paese», ha postato su Facebook la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti. «La qualità delle nostre scienziate e ricercatrici dimostra come anche nella scienza le donne danno un contributo fondamentale. Continuiamo a promuovere e incentivare le giovani donne ad intraprendere percorsi di formazione nelle materie Stem. Il futuro chiede il loro coraggio, la loro intelligenza, la loro creatività».

Proprio l’11 febbraio, una settimana fa, è stata la giornata dedicata alle donne nella scienza: nel 2015, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito questa giornata mondiale per rendere omaggio alle donne che hanno contribuito allo sviluppo delle scienze. Una giornata che rientra nei 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals), che tra gli altri comprendono per l’appunto il raggiungimento della parità di genere. Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, ha dichiarato per l’occasione: «il mondo non deve essere privato del potenziale, dell’intelligenza o della creatività delle migliaia di donne vittime di disuguaglianze e pregiudizi profondi».

I fatti smentiscono, se ce ne fosse bisogno, le affermazioni del professore Alessandro Strumia dell’Università di Pisa, balzato agli onori della cronaca un anno e mezzo fa quando, invitato a un workshop organizzato dal CERN di Ginevra, affermava che se non ci sono abbastanza scienziate, dev’essere perché le donne sono meno portate per la scienza.

«La fisica» affermava Strumia «è stata inventata e costruita dagli uomini». Basti ricordare che di recente il premio Nobel per la Fisica e quello per la Chimica sono andati proprio a due donne: Donna Strickland per l’innovazione della fisica dei laser e Frances H. Arnold per aver condotto la prima evoluzione diretta degli enzimi. Innegabile inoltre la presenza nella storia delle scienze di tantissime donne: alcune di loro hanno fatto grandi scoperte, altre non hanno visto riconosciuti i loro meriti a favore di colleghi uomini.

Quando si parla di donne nella scienza uno dei primi nomi che viene in mente è, ovviamente, quello di Marie Curie. Due volte premio Nobel, prima donna ad ottenere una cattedra alla Sorbona, ha scoperto il radio e polonio insieme a suo marito Pierre Curie. Sua è la iconica risposta alla domanda «Signora Curie come si vive accanto ad un genio?»: «Non lo so, lo chieda a mio marito».

Ada Lovelace, matematica inglese, ha lavorato alla macchina analitica ideata da Charles Babbage ed ha contribuito a creare un algoritmo per generare i numeri di Bernoulli, il primo algoritmo studiato per essere elaborato da una macchina. Per questo, Lovelace è ricordata come la prima programmatrice di computer del mondo. A discutere di fissione nucleare con Otto Frisch, allora giovane fisico nucleare, fu sua zia Lise Meitner. Otto Hahn perfezionò le ricerche vincendo nel 1945 il premio Nobel, senza menzionare gli studi della collega.

Nel 1986 Rita Levi Montalcini vinse il premio Nobel per la medicina ed è stata la prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle scienze. La Montalcini ha dedicato la sua intera vita allo studio del cervello umano anche se sua è questa frase: «Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore. Ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi». Margherita Hack, nota astrofisica famosa per i suoi studi sugli spettri stellari, è stata membro dell’Esa e della Nasa.

In ultimo Fabiana Gianotti, attualmente direttrice generale del Cern di Ginevra, che il 4 luglio 2012 dall’auditorium del Cern ha annunciato la prima osservazione di una particella compatibile con il bosone di Higgs. Rita Levi Montalcini una volta ha dichiarato: «le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società». Una discriminazione che va avanti almeno dai tempi di Ipazia, matematica alessandrina, astronoma e filosofa vissuta tra il quarto e il quinto secolo dopo Cristo, condannata a morte per la sua indipendenza e il suo libero pensiero.

La strada è ancora lunga: basti pensare che a vincere il 97% dei premi Nobel scientifici sono stati uomini. Attualmente, secondo l’Unesco, l’Italia è fanalino di coda per la presenza femminile nel campo STEM: la percentuale di donne che occupano posizioni nelle professioni tecnico-scientifiche è tra le più basse dei Paesi Ocse (il 31,7% contro il 68,9% di uomini). Ciò nonostante, la storia dimostra che sono tanti gli esempi di donne che sono riuscite a distinguersi in campo scientifico e che, oggi più che mai, sono un fulgido esempio per le tante ragazze che si avviano a specializzarsi nelle materie scientifiche.


Di Annarita Caramico