Se l’Eurozona cresce, l’Italia ristagna

Le Previsioni economiche d’inverno 2020, pubblicate dalla Commissione europea il 13 febbraio scorso, rivelano la sussistenza di un contesto all’interno del quale l’economia europea è destinata a restare su un percorso di “crescita costante e moderata”. Tale prospettiva ha trovato una conferma nelle dichiarazioni del Vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, Valdis Dombrovskis, il quale ha sottolineato la necessità di «portare avanti le riforme strutturali volte a stimolare la crescita e la produttività», tenendo presente il rischio derivante da «un panorama geopolitico più volatile associato a incertezze commerciali».

Sebbene le stime della Commissione europea prevedano un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) dell’Unione Europea (UE) e dell’Eurozona rispettivamente dell’1,4% e dell’1,2% per il biennio 2020-2021, la strategia volta all’adozione di politiche fiscali nazionali prudenti rappresenta la chiave di lettura per attuare il rilancio delle economie degli Stati Membri con un debito pubblico elevato. La base di tale obiettivo è costituita dalla previsione di politiche di bilancio più espansive in grado di creare benefici favoriti, inoltre, da condizioni di finanziamento più favorevoli in alcuni Paesi della zona euro.

In tale contesto, l’area della moneta unica risulta ancora fortemente influenzata dalle dinamiche legate alle strette politiche di condizionalità finanziaria che hanno caratterizzato l’istituzione di quegli strumenti – quali Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e Fiscal Compact – adottati per fronteggiare gli effetti negativi derivanti dalla Grande Recessione del 2007-2008 e la crisi dei debiti sovrani.

Nonostante i livelli di crescita costante, seppur moderata, dell’Eurozona – con un PIL che rimarrà stabile all’1,2% nel 2020 e nel 2021 – e, più in generale, dell’UE, l’andamento del contesto economico italiano costituisce un unicum nel panorama europeo, rappresentando l’Italia il solo Stato Membro le cui stime di crescita del PIL stazionano al di sotto dell’1% (0,3-0,6%). Tali dati – contenuti all’interno delle Previsioni economiche d’inverno 2020 della Commissione europea – trovano la loro esplicazione nell’impatto che diversi fattori, di natura sia endogena che esogena, hanno prodotto a discapito dello sviluppo dell’economia italiana.

Il Commissario europeo responsabile per l’Economia, Paolo Gentiloni, commentando i risultati degli analisti di Bruxelles, ha enfatizzato la determinazione delle Istituzioni europee di agire «sul fronte occupazionale», in un quadro caratterizzato da «sviluppi incoraggianti quanto alla riduzione delle tensioni commerciali» e dalla presenza di «significative incertezze politiche, che gettano un’ombra sull’industria manifatturiera».

Con riferimento ai fattori esterni, oltre alle logiche di condizionalità economiche legate alle politiche di austerity richieste al fine di ridurre debito pubblico italiano, la nuova emergenza del Coronavirus si è posta quale ulteriore e grave sfida in grado di compromettere gli accordi e gli affari internazionali che l’Italia sta intrattenendo con la Cina, una delle maggiori potenze commerciali nel contesto geopolitico globale.

Secondo gli esperti, la principale problematica è connessa alla potenziale caduta del PIL cinese, con un effetto domino che potrebbe coinvolgere tutti i Paesi del mondo che, con il Vecchio Continente, hanno oggi rapporti di intesa e con una notevole riduzione nel settore degli investimenti. Per far luce sull’effettivo impatto economico della nuova minaccia sanitaria, il 10 febbraio scorso è stato convocato un vertice interministeriale a Palazzo Chigi, conclusosi con una nota ufficiale della Presidenza del Consiglio: «Il governo ha avviato una istruttoria per l’adozione di misure di contenimento degli effetti negativi dell’emergenza sul nostro sistema economico e produttivo».

Per quanto concerne i fattori interni, l’incertezza e il continuo cambio del quadro politico di riferimento hanno contribuito ad incrementare la sfiducia degli investitori e dei mercati nei confronti dell’affidabilità della solidità finanziaria dello Stato italiano. Il 2020 si è aperto, inoltre, all’insegna della stagnazione del quadro economico, con il settore occupazionale che non ha registrato alcun miglioramento e con l’export che ha segnato dati negativi, seppur rimanendo in un trend espansivo (vendite extra-UE +1,8%).

In aggiunta, sotto il profilo del credito alle imprese, il calo dei volumi di prestiti che si è consolidato al -1,9% annuo a dicembre riflette il progressivo restringimento delle condizioni di offerta, segnalato dalle indagini qualitative di Banca d’Italia e Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Al fine di garantire il rilancio dell’economia nazionale, è stato previsto un impatto di 21 miliardi di euro (+65% rispetto al triennio 2016-18), massimizzando l’effetto delle misure della Legge di Bilancio 2020, e il Piano Sud 2030, che prevede oltre 123 miliardi, consentendo l’incremento del PIL del Mezzogiorno.

Dall’analisi effettuata emerge come l’andamento dell’economia italiana, a fronte di una crescita – seppur in rallentamento – a livello dell’UE e dell’Eurozona, risulta ancora affetto dagli effetti di quei fattori endogeni ed esogeni resi più violenti dalla critica condizione del debito pubblico nazionale. L’attuale contesto richiede l’intervento di politiche di bilancio virtuose, volte ad evitare la stagnazione interna e a favorire l’aumento della fiducia da parte degli investitori e dei futuri creditori, attraverso la strutturazione di una solidità finanziaria necessaria al fine di competere nel mercato comune europeo e, in ultima analisi, nel contesto geopolitico globale.