Da 45 a 45 mila contagi: la «sequenza» agghiacciante del nuovo coronavirus

Da poco più di una settimana l’epidemia del nuovo coronavirus (Covid-19) è stata dichiarata ufficialmente «emergenza globale». Ad attestare la gravità della situazione è stata l’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) che dopo qualche indecisione ha agito nella direzione più consona. Il coordinamento internazionale era stato discusso già il 23 gennaio, data dell’occasione mancata per dichiarare l’emergenza internazionale (Public Health emergency of International Concern).

Una buona notizia arriva in Italia il 2 febbraio, quando si è giunti a circa 10 mila casi di contagio e oltre 200 decessi solamente in Cina: il coronavirus è stato isolato e, più precisamente, “sequenziato”. La strada resta comunque in salita e il “picco” epidemico non sembra arrestarsi. Ad oggi infatti sono ben più di 45mila i contagi, 5mila i ricoverati e oltre mille le vittime.

In Italia si festeggia il “primato” europeo – seguito dalla smentita, passata però in sordina – raggiunto dalle tre ricercatrici dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Ciò che è importante per la ricerca e la lotta contro questo «virus a forma di corona», ancora senza cura, è isolare il genoma e poterlo confrontare da una nazione all’altra per verificarne un’eventuale mutazione. Non serve – come è stato narrato dalla politica e da alcuni giornali italiani – una classifica europea. Serve che il virus, una volta sequenziato, venga osservato affinché ne venga attestata la capacità di adattamento. Attualmente (e fortunatamente) le sequenze confrontate, proprio perché simili, non hanno mostrato mutazioni.

Vincent Enouf, vicedirettore del National Reference Center dell’Institut Pasteur – l’istituto francese arrivato davvero per primo in Europa – ha dichiarato: «I virus analizzati non presentano differenze notevoli, il che significa che il nuovo coronavirus non è mutato per diffondersi». A conferma del passo importante compiuto (anche) dalle tre ricercatrici italiane – che hanno stupito perché italiane, donne, mamme e perfino meridionali – possiamo segnalare che l’Italia è stata il primo Paese europeo a inserire le sue sequenze parziali del virus nella piattaforma GenBank.

Su questa piattaforma open access usata dalla comunità scientifica in tutto il mondo è stato possibile inserire le sequenze di nucleotidi che compongono il coronavirus isolato nei pazienti all’Istituto Spallanzani. I francesi hanno condiviso le proprie sequenze su un’altra piattaforma, il GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data) già il 31 gennaio.

Anche se sono partite le prime sperimentazioni su animali per lo studio di una cura, potrebbero passare mesi prima di ottenere un vaccino efficace. Secondo l’Oms, «il primo vaccino per il coronavirus potrebbe essere pronto in 18 mesi» e solo per i primi test bisognerà attendere due o tre mesi. Nell’attesa, il fattore più preoccupante è la facilità di contagio: questa nuova malattia infettiva – una sorta di polmonite in definitiva – si trasmette da uomo a uomo e per questo motivo crea di per sé panico.  

Ma, ricordando che nel resto del mondo al di fuori della Cina i contagiati sono al massimo qualche centinaio, tutte le misure di precauzione applicate alle frontiere sono state già sufficienti per evitare il transito su larga scala del nuovo coronavirus. Fa ben sperare l’ampia collaborazione a livello globale che si è attivata ormai da diverse settimane. Stando alle dichiarazioni delle Nazioni Unite, ogni nazione può decidere di aumentare la sorveglianza alle frontiere o cancellare i voli per le aree interessate. È chiaro come ci siano anche effetti che i muri non possono bloccare: con la Cina sostanzialmente blindata, le conseguenze dell’epidemia hanno rapidamente raggiunto l’economia globale, senza esagerare, più rapidamente del virus stesso.

I ricercatori cinesi che hanno identificato il nuovo coronavirus, ormai un mese fa, il 10 gennaio, lo hanno isolato, sequenziato e inserito in GenBank. Mettere a disposizione della comunità internazionale i dati sul coronavirus è stato uno dei meriti più importanti del sistema sanitario cinese, un’istituzione che ha recentemente perso il medico che si occupò del primo ricovero per coronavirus. Li Wenliang, anche lui contagiato, aveva dato il primo “allarme epidemia”, ed è stato celebrato come un eroe morto in guerra. Il dottor Wenliang, reputato non credibile, era stato infatti censurato e il suo allarme taciuto quando i ricoverati per la “misteriosa polmonite” erano solamente 45, e tutti provenienti dalla stessa area.

La nebbia sulle autorità cinesi resta fitta. Dirigenti sanitari e polizia del Dragone rosso hanno colpevolmente ritardato l’intervento preventivo e di fatto causato una catastrofe di livello potenzialmente globale? Potevamo evitare questa emergenza concreta – che si è trasformata anche in un pericolo sociale – che rischia di uccidere ancora centinaia o migliaia di persone? Il coronavirus resta più pericoloso per i risvolti economici e sistemici che per le vittime che può mietere. Se, infatti frontiere e ricoveri possono isolare i malati dentro precise strutture, i danni sul commercio e l’allarme per le istituzioni sanitarie esposte – infermieri, medici e personale ospedaliero – possono mandare in tilt più di un paese.


5 commenti

I commenti sono chiusi

... ...