La memoria rende liberi, Enrico Mentana e Liliana Segre raccontano la Shoah

«È questione di pochi anni, e poi non ci saranno più testimoni della Shoah», così Enrico Mentana inizia la sua introduzione di “La memoria rende liberi”, le memorie dell’olocausto di Liliana Segre, sopravvissuta all’orrore nazista e senatrice a vita. E di testimoni ce ne erano tanti. Il nazifascismo, infatti, ha colpito non solo ebrei, ma anche omosessuali, oppositori e prigionieri politici, portatori di handicap, partigiani, o la sistematica eliminazione di interi popoli come quello Rom. Solo il 20 gennaio 2019 altre 6 vittime non identificate hanno trovato finalmente pace al Bushey New Cemetery di Londra.

Sono stati presi di mira diversi tipi di persone nell’intento di sradicare intere comunità, dipinte come minaccia al Reich. Sebbene ogni anno ci si concentri sullo sterminio degli ebrei per mano nazista, sarebbe il caso di puntualizzare che la Shoah è storia umana condivisa annualmente

Come abbiamo più volte visto nel corso dei decenni, il giorno della Memoria viene usato a fini politici dai rappresentanti dei vari stati per saldare alleanze e rapporti commerciali. A 75 anni dalla liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa a ricordare il più grande dramma della storia moderna ci pensano 45 uomini da 45 Stati.

E a proposito della liberazione di Auschwitz da parte della Russia, troviamo un appunto della Segre riguardante la narrazione romanzata dell’Olocausto da parte di Roberto Benigni in “La vita è bella”, che dice dell’autore: «avrebbe dovuto dire “ho scritto una bella favola”, ma non l’ha fatto.(…) un filmetto senza pretese nella prima parte, nella seconda metà invece è tutto terribilmente falso (…) l’unica cosa verosimile è che il padre, alla fine, muore (…) troppe volte, in nome di una bella finzione, si è banalizzato l’Olocausto (…) il sopravvissuto è diventato un cliché e l’olocausto è diventato un argomento di moda, e questo è orribile» (p.207-208)

Proprio queste parole rimbombano nella mente osservando l’ultima celebrazione della memoria, pregna di ipocrisia e sopravvissuti da esporre in passerella. Nonostante il nazismo si basi su politiche di occupazione di territori, sterminio e strumentalizzazioni di tipo etnico e religioso, un esponente come Benjamin Netanyahu, premier israeliano, esclama (parlando per gli Ebrei): «dobbiamo difenderci da soli, il mondo ci ha voltato le spalle 80 anni fa», sfruttando l’occasione per chiamare a raccolta le forze mondiali. Ed il mondo ad applaudire, distogliendo lo sguardo dalle politiche israeliane di occupazione dei territori palestinesi e dal supporto bellico, politico ed economico da parte degli USA. Ed applaude pure il Capo di Stato italiano Mattarella che, nella medesima occasione, parla di Liliana Segre come di un «patrimonio prezioso per la memoria collettiva».

Questo far finta di non vedere, questo voltare la testa, è il nocciolo centrale del libro “La memoria rende liberi”. Il libro restituisce la visione di un mondo contemporaneo dissociato dalla storia e dalle esperienze delle persone che l’hanno vissuta. Questo distaccamento viene palesato nel discorso pubblicato da Repubblica il 24 aprile 2019, in cui la Segre parla del suo rapporto con le nuove generazioni e gli sforzi per mantenere acceso il faro della coscienza sociale. «Ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale, ma è sempre più difficile combattere i vuoti di memoria. Solo se si studia la Storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale delle masse di italiani e tedeschi. Bisogna raccontare cosa è successo, specialmente ora che il saluto romano in Italia non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia (…) chi ignora il passato, non oppone resistenza» p.137-138

In Italia, tra strade dedicate ad Almirante e le strizzate d’occhio alle destre estreme, si sdoganano atti e parole che dimostrano che, effettivamente, lasciare all’interno dell’organismo statale persone con il mancato accertamento giudiziario sui crimini fascisti e reintegrare quelli che avevano ottenuto la clemenza è stata, per dirla alla Calamandrei, un clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana. I segnali di questa indigestione di fatti storici fece sì che dai responsabili dei servizi segreti ai ministri della Repubblica passando per questori e prefetti, moltissimi furono coinvolti in eventi come la strage di Portella della Ginestra, la costituzione del movimento sociale di Almirante e lo stragismo neofascista.

XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana, (Riorganizzazione del disciolto partito fascista): Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione  di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere Fascista. È un po’ la prova che non abbiamo digerito niente e voltiamo volontariamente la testa dall’altra parte. 

Liliana Segre ha impiegato tutta la sua vita per uscire allo scoperto e raccontare la sua ferita aperta. Per tutta la narrazione si segue un fil rouge in cui la protagonista metabolizza la sua scelta di non guardare gli orrori e voltare lo sguardo. Passano decenni per la sua crisi interiore fino a che non realizza che è giusto raccontare, che lei è sopravvissuta per raccontare (titolo del capitolo 15 legato idealmente al discorso “il compito di ricordare” pronunciato il 5 giugno 2018 in sede di dibattito al Senato sul voto sulla fiducia al primo governo conte). 

Il libro da lei scritto è un pugno nello stomaco del tutto attuale e le sue riflessioni taglienti sulla relazione tra cittadini comuni, opportunismo ed indifferenza, ricordano le parole di Hanna Arendt in cui la banalizzazione del male serpeggia e continua a serpeggiare contestualizzando schemi ed utilizzando nuovi e più insidiosi mezzi di propaganda. «Ero troppo piccola per rendermi conto di quanto la gente fosse connivente con il fascismo anche durante la sua fase più crudele e disumana (…)». Sessant’anni dopo scoprì come i suoi nonni fossero stati arrestati dai tedeschi grazie ad un delatore italiano che li vendette per 5mila lire. 

In conclusione questo libro, sebbene parli dell’Olocausto vissuto da una bambina figlia dell’alta borghesia milanese e non di partigiani eroici o gappisti intraprendenti, ci dà un bagaglio di esperienze che devono servire da strumenti per preservare le libertà e i diritti acquisiti durante il Novecento. Ma ci dice anche che la guerra ai fascismi non è finita. A questo proposito concludiamo con una citazione di Umberto Eco che, nel suo libro Ur-fascism (Il Fascismo Eterno, in Italia edito da La nave di Teseo), analizza le dinamiche dell’approccio fascista e ne definisce i contorni asserendo che non esiste il fascismo, ma i fascismi – così come non esiste la mafia, ma le mafie: «Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica, fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei a un’alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista (…) la parola “fascismo” divenne una sineddoche, una pars pro toto per movimenti totalitari diversi (…) Il fascismo era un totalitarismo fuzzy, un alveare di contraddizioni (…) nacque proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori». Vi ricorda niente?


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