«La dolce vita» e la sua amarezza tutta attuale

Il film drammatico che ha fatto la storia della cinematografia è divenuto negli anni una pietra miliare per i cinefili, ma anche emblema dell’italianità per eccellenza. Ovunque nel mondo ci si è ispirati alla dolce vita, usando e abusando del titolo. «Come here!» è l’invito che Anita Ekberg fa a Marcello Mastroianni; un invito pericoloso, provocante, che rompe la monotonia della realtà. Marcello afferma: «sto sbagliando tutto, stiamo sbagliando tutto!». Stava sbagliando lui, come tutti noi. Sono proprio queste affermazioni, queste riflessioni che portano lo spettatore di ieri ad incontrarsi con quello di oggi.

Se recentemente Sorrentino con “La Grande Bellezza” ha portato di nuovo sul grande schermo la decadenza sociale italiana, la pellicola di Federico Fellini rimane ancor oggi scandalosamente bella e rivoluzionaria. Una pellicola che tacitamente e tragicamente mostra la commedia umana. La composizione libera un po’ bizzarra diviene una tela in cui dipingere il mondo onirico e preveggente felliniano, simbolo dei costumi di vita degli anni 60.

Nell’orrore delle fredde passeggiate notturne, nella vuotezza d’animo di intellettuali in cerca di padroni, Fellini traccia il crollo delle certezze e di ogni speranza, abbandonandosi ad un vivere quotidiano grigio, pieno di ostacoli, caratterizzato da amori freddi e da una generazione arrendevole legata al denaro.

La dolce vita dipinge un’epoca divenuta eterna, parte integrante di un linguaggio ormai universale. Sessant’anni fa Fellini raccontava una storia che sembra essere scritta oggi. La storia di uno scrittore in cerca di scoop per un giornale scandalistico, zingaro fra lussuose case, ville e appartamenti adibiti a feste con protagonisti aristocratici viziati e annoiati e intellettuali depressi. Una pellicola senza un vero protagonista se non il racconto stesso. Tutto si sviluppa attraverso annotazioni di cronaca e di costume, intrecciate in una complessa struttura che acquista corpo e unitarietà in virtù della forma filmica.

Fellini non voleva fare un documentario d’epoca però certamente la realtà romana lo ha influenzato nel mettere in scena una vita romana creduta dolce, ma che il regista trasforma in grottesca e drammatica. Tra esotismi italiani, buon gusto, alta moda, arte e bellezza emerge l’innocente decadenza.

La differenza con l’attualità? Se i protagonisti del gossip all’epoca erano malinconici nobili, aristocratici e divi celebri, oggi i nuovi oggetti di interesse sono rappresentati da attori ancora più in declino: calciatori, showgirl, grandi fratelli, famosi da isola, coppie da tentare e influencer da seguire. Similitudini? La vita anche oggi come allora è tutt’altro che dolce e lascia a tutti un retrogusto amaro. Sembrerebbe quasi che Fellini abbia fatto una vera e propria previsione del terzo millennio, un “Real Italy Show” al cinema capace di mostrare la realtà di ieri e di oggi mostrando il nulla che naviga nell’incertezza e si crogiola nel benessere. Un film moderno che diviene capolavoro universale del nostro vivere.

Per non parlare poi del giornalismo felliniano, fautore delle paparazzate, inventore del potere dell’immagine sui giornali come in tv. L’opera di Fellini rimane attuale oggi poiché ci ha illustrato un reale che è rimasto sempre tra noi. È proprio questo lo straordinario potere del cinema: suscitare emozioni anche quando la cinepresa spenta ormai è impolverata.

Fellini sosteneva che «il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio». Diceva inoltre del suo film, nel febbraio 1960: «Non è un film molto divertente nel senso che qualcuno si può aspettare; non è un film polemico…; non è un film satirico; non è un film grottesco; non è un film moralistico…e non è neanche un film terrificante;…non è un film né pessimistico né disperato…» e ancora oggi non possiamo far altro che dargli ragione.


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