Coronavirus: non abbiamo bisogno di malattie come razzismo e ipocondria

Il grande centro cinese di Wuhan sta scalando la classifica delle parole più cercate di Google, restando sotto colossi come WhatsApp e Wish. Nonostante ciò, è chiaro come non sia sufficiente (avere l’agevole possibilità di) conoscere la distanza di questa città e le contromisure locali per debellare morbi antipatici come pregiudizio e psicosi. Sul Coronavirus, la febbre mortale che ha ucciso più di 170 persone, se ne stanno dicendo di tutti i colori. Gli immunologi di tutto il mondo stanno lavorando senza sosta per trovare la cura che possa sconfiggere il Coronavirus ma purtroppo, come spesso accade, girano teorie strampalate e idiozie socialmente dannose, pane per i denti di razzisti e ipocondriaci.

Il contagio del Coronavirus si sta diffondendo rapidamente e si stima abbia coinvolto in poche settimane oltre 6 mila persone. La diffusione è apparsa in pochi giorni così devastante da far tremare – giustamente – i cinque continenti, i quali hanno da subito preso importanti precauzioni e attivato il proprio sistema di prevenzione presso stazioni e aeroporti. Ma la fantasiosa origine di questo virus non ha tardato ad affascinare migliaia, se non milioni, di lettori: una delle tesi iniziali che è stata diffusa dai fanatici del complotto è stata la “fuga dal laboratorio”.

E partono le accuse di incompetenza e inadeguatezza made in China. Avete presente quei film fantascientifici in cui il morbo sfugge al controllo degli scienziati e distrugge mezzo mondo prima che arrivino gli Stati Uniti a salvare l’umanità? Siamo su quella strada, ma senza intravedere il finale. Il complotto prevede che il virus sia stato creato in laboratorio e che ne sia anche stato sviluppato contemporaneamente il vaccino. Tutto “provato” dall’esistenza del brevetto che attesta lo sviluppo e la registrazione del virus.

La realtà è che non esiste alcun brevetto per il Coronavirus Wuhan, e il genoma che è stato messo a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo dai medici cinesi altro non è che il virus isolato – fortunatamente – utile allo studio.

In Italia è arrivata invece una nuova serie di Walking Dead: China edition nel mitico racconto di Paolo Liguori. Il direttore di TGCOM24 ha fatto riferimento all’origine del virus parlando di un laboratorio dove vengono compiuti «esperimenti militari coperti dal più grande segreto». Il centro che sembra aver dato il via all’epidemia sembra però essere un laboratorio che, come tanti, studia virus pericolosi.

E le fonti “attendibilissime” – nello specifico il Washington Times – oltre che essere state ampiamente smontate, potrebbero essere italianizzate in credibilissimi quotidiani come “La Repubblica della Sera”, “Il Corriere de Tempo” o, perché no, “Il Sole Quotidiano”. Ad oggi, l’ipotesi più accreditata sul soggetto zero da cui parte il virus, sembra indicare un animale (anch’esso non ancora indicato precisamente) colpevole della trasmissione all’uomo.

Nessun esperimento finito male e soprattutto – come hanno sostenuto altri fenomeni – non è colpa di un boccone cinese. In diversi paesi è circolata la notizia che il contagio avverrebbe tramite cibo. Adesso siamo in pieno contesto fantasy, fra stregoni malvagi e intrugli magici: la zuppa di pipistrello è stata additata come l’origine del contagio. Una delicatissima “ricetta della nonna” avrebbe contagiato il paziente zero, scatenando il Coronavirus fra i Cinesi, mangiatori di animali assurdi e fuori dal comune (per l’ideale occidentale del tollerabile brodino di pollo).

La zuppa è costata cara a Wang Mengyun, la blogger che, postando il suo video mentre si nutre col piatto incriminato, è stata travolta da polemiche sulla sua “incauta” condotta. La bufala aveva avuto così tanto successo che si è dovuta scusare e ha dovuto rimuovere il video. Si pensi che la notizia della zuppa maledetta era stata riportata anche da importanti tabloid britannici come Daily Mail e The Sun, ma sempre senza che venisse citata la fonte da cui venivano tratte queste informazioni. Altri titoli, come «I cinesi mangiano i serpenti e dopo crepano» (Libero) completano il capolavoro della disinformazione.

Da Milano a Parigi, nei quartieri definibili “cinesi”, si diffonde intanto la paura dell’asiatico e la caccia all’ultima mascherina fra supermercati e farmacie. Nel caso italiano una flessione delle vendite e una diffusa psicosi – complici le interviste in televisione su «come evitare il contagio», nonostante si contino due casi sul territorio nazionale, peraltro due turisti cinesi ricoverati a Roma – hanno temporaneamente danneggiato l’economia della Chinatown milanese. Alcuni giornali stanno cavalcando l’ansia mettendo in allerta mamme e papà che mandano i propri bambini incontro alla morte nelle scuole.

In un articolo de Il Giornale si fa riferimento al rinvio dei festeggiamenti del capodanno cinese e della consueta Chinatown New Year Run, motivandolo come un atto di solidarietà e di «rispetto per la Cina» – come dichiarato – ma anche come provvedimento precauzionale al fine di «evitare assembramenti di folla». Quest’ultimo aggiunto gratuitamente senza alcun riferimento presente nelle dichiarazioni del Comitato organizzatore. Insomma, un modo alternativo per dire “evitate le folle di Cinesi!”.

Nel caso francese abitanti ed esercenti sembrano preoccupati più per gli scioperi che per il Coronavirus. In Francia si contano al momento quattro casi di contagio confermati e sembra regnare un’apparente indifferenza per la questione. Molte persone dichiarano, intervistati, che non c’è motivo di allarmarsi poiché lo Stato si sta occupando di attivare le migliori misure possibili per evitare l’ingresso di persone, animali o materiali infetti. L’Associazione dei giovani cinesi di Francia (AJCF) ha però dovuto denunciare una serie di episodi razzisti contro alcune persone asiatiche.

Si racconta di diversi insulti lanciati in pubblico e un clima crescente di isolamento nei confronti della popolosa comunità cinese a Parigi. «Ho visto una cassiera asiatica da Auchan che è stata messa da parte perché i clienti non la volevano. Le dicevano “rientra a casa tua, tieniti la tua malattia”», ha raccontato Rui Wang, presidente dell’Ajcf.

Nel vicino Giappone la paura è stata tale da spingere il proprietario di un negozio di Hakone a bloccare l’ingresso nel suo negozio ai Cinesi, con tanto di cartello. L’avviso reciterebbe «Nessun cinese è autorizzato ad entrare nel negozio. Non voglio diffondere il virus. Voglio proteggermi dal virus e non voglio che i cinesi lo facciano entrare nel negozio». In Singapore, Malesia e Filippine sono stati bloccati gli ingressi, evitando il rilascio dei visti, anche turistici, a viaggiatori cinesi. In Papua Nuova Guinea si è optato per la soluzione estrema: qui sono stati totalmente interrotti i collegamenti con la Repubblica Popolare Cinese.

Il cartello nel negozio di Hakone (da Twiter)

Ma fra gli avvisi che intimano di evitare gli acquisti da siti come Wish e di astenersi dalle serate al ristorantino cinese all you can eat, ciò che emerge amaramente è la velocità di trasmissione delle sciocchezze, loro sì, sempre capaci di raggiungere mezzo pianeta in poche ore. Sembra che una fetta della stampa mondiale abbia portato alla luce un generico tono accusatorio nei confronti di presunte “abitudini scorrette alimentari e igieniche” dei Cinesi.

In definitiva, si sono meritati il Coronavirus: pietanze assurde, mercati caotici, allarme demografico, inquinamento alle stelle, il Comunismo, il povero ragazzo di piazza Tienanmen, l’Allarme giallo, la magia nera e Bruce Lee ancora vivo che trama per conquistare il mondo. La Cina fa paura; pure noi.


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