La mostra di Unipa in memoria degli studenti ebrei cacciati dal fascismo

Le iniziative per ricordare le atrocità della Shoah non sono mai abbastanza; al contrario, più si va avanti negli anni, e più quel periodo storico sembra allontanarsi inesorabilmente e diventare sfocato soprattutto per le nuove generazioni, mentre assume un valore sempre maggiore l’importanza della memoria. Perché proprio quando non ci saranno più le testimonianze dei sopravvissuti, ormai sempre più anziani, la memoria sarà l’unica cosa che resterà, che deve restare.

Quest’anno l’Università degli Studi di Palermo ha deciso di focalizzare il proprio sguardo sugli studenti ebrei, stranieri e non, che negli anni del fascismo furono costretti ad abbandonare gli studi e a lasciare la città per via delle leggi razziali.

Grazie ai documenti contenuti nell’Archivio storico di Ateneo, si è dato vita all’esposizione intitolata “Gli studenti ebrei e l’Università di Palermo ai tempi del fascismo” (il programma qui), a cura del delegato del Rettore all’Archivio storico di Ateneo, Mario Varvaro, allestita presso la Sala delle Verifiche di Palazzo Chiaramonte Steri: documenti, fotografie, lettere, testimonianze tentano di ricostruire il percorso drammatico di quei ragazzi. Si stima, infatti, che tra il 1923 e il 1938 fossero circa 60 gli studenti ebrei stranieri che studiavano a Palermo, la maggior parte di loro iscritta alla facoltà di medicina. Anche se quasi tutti riuscirono a laurearsi, per alcuni di loro il destino fu fatale: Josef Izaak Lewsztein, per esempio, dopo essere stato catturato e imprigionato a Urbino, fu trucidato nel 1944 insieme ad altri 19 ebrei in quello che viene ricordato come l’eccidio dell’aeroporto di Forlì; stessa sorte toccò a Chaia Chasis, trasferitasi nel 1934 a Palermo col fratello Jankiel (l’unico della famiglia a salvarsi), che non riuscì a sopravvivere alla deportazione.

Oltre a farci conoscere la storia di questi poveri studenti, colpevoli solo di essere ebrei durante il fascismo, l’esposizione cerca di spiegare quello che fu il percorso ideologico che portò alle leggi razziali, e a giustificare e legittimare la loro follia. Come tutti i regimi totalitari, è la propaganda per raggiungere il consenso delle masse a farla da padrone: la diffusione a mezzo stampa di false notizie, teorie pseudoscientifiche in cui si inneggiava alla superiorità della razza ariana, si diffondevano in giornali e periodici distribuiti quotidianamente per mettere in atto un vero e proprio “lavaggio” del cervello.

“I nemici di Roma” non dovevano inquinare la pura razza italiana, già a partire dai banchi di scuola: non a caso, nel 1938 Vittorio Emanuele III vietava con un Regio decreto agli alunni ebrei di frequentare scuole di ogni ordine e grado; così come venne fatto divieto ai professori di razza ebraica di insegnare, e venne creata la cattedra di Biologia delle razze umane proprio per sottolineare la differenza con “gli altri”, i diversi, i nemici.

Una pagina senz’altro buia della nostra storia, che fa molto male ricordare, ma che non si può di certo cancellare: è proprio questo l’obiettivo della Giornata della Memoria. Un imperativo morale, quello di non dimenticare, per evitare di compiere gli stessi errori, per riflettere, per aprire gli occhi su ciò che accade intorno a noi, e soprattutto, per aprire la mente.