Villa Lampedusa, un astro che brilla ancora

La penultima dimora di cui ci occupiamo è Villa Lampedusa, che sorge non lontano da Villa Spina  (piana dei Colli), a pochi metri dalla Palazzina Cinese, in via dei Quartieri 104. Oggi all’interno della dimora storica sorge un Resort, teatro di congressi ed eventi culturali e privati, ma per capire il motivo profondo che ha spinto la Regione Siciliana, con questi fondi, a proteggerne il valore culturale, ricostruiamone in breve la storia.

Villa Lampedusa venne edificata a inizio Settecento come residenza estiva di Re Ferdinando IV di Borbone (Ferdinando I delle due Sicilie), il suo parco con ulivi, mandorli e agrumi – che confina tra l’altro con quello della Favorita (la Real Tenuta) – conteneva un padiglione con affreschi del Fumagalli datato 1784.

Villa Lampedusa

In Sicilia, Re Ferdinando, appassionato cacciatore, durante la bella stagione era solito conquistare, nel terreno della tenuta, un discreto bottino di fagiani, pernici, beccacce e conigli, ma la grazia di una duchessa siciliana non tardò a conquistare il conquistatore. La Sicilia è infatti la madrepatria della seconda moglie di Re Ferdinando, Lucia Migliaccio duchessa di Floridia. Rimasti entrambi vedovi, i due si sposarono proprio a Palermo il 27 Novembre 1814.

Lucia non fu mai davvero regina, dal momento che non fu mai proclamata regina consorte, e fu dunque privata dei diritti di successione sia per lei che per i figli, ma talmente forte e positiva fu la sua ascesa sulla corte e la cultura del Regno che nonostante ciò venne considerata come l’unica vera moglie di Ferdinando. Il fascino di Lucia Migliaccio è stato inoltre decantato da molti poeti e letterati del Regno, Wolfgang Goethe – che l’aveva conosciuta adolescente – le dedicò la sua “Sizilianisches Lied” (Canto siciliano), così come Giovanni Meli compose per lei l’ode “Ucchiuzzi niuri”.

Dopo il lungo regno di Ferdinando IV, Villa Lampedusa passò nelle mani dei principi di Villafranca e successivamente, nel 1845, fu acquistata da Giulio Tomasi IV principe di Lampedusa, che ne fece la sede di un osservatorio astronomico. “L’osservatorio ai Colli del principe di Lampedusa” venne fondato nel 1853 e rimase attivo fino alla morte del principe avvenuta nel 1885, dopo la quale l’eredità fu spartita fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.

Tuttavia, degli interessi scientifici del principe Giulio Fabrizio Tomasi ci restano alcune testimonianze dalla sua biblioteca privata, nella quale spiccano numerosi testi di fisica, matematica e meccanica, tra cui la “Meccanica Analitica” di Joseph-Louis Lagrange e uno dei primissimi volumi stampati del celebre “Kosmos” di Alexander von Humboldt.

Ma il motivo che consacra Villa Lampedusa alla memoria storica della nostra città resta il fatto che si tratta proprio della villa che ha ispirato a Giuseppe Tomasi di Lampedusa la celebre storia de “Il Gattopardo”. Il protagonista del romanzo, Fabrizio Salina, è stato infatti caratterizzato dall’autore proprio come un alter ego del principe astronomo che l’aveva abitata, nonché suo bisnonno, Giulio. Con la trasposizione cinematografica di questo romanzo (1963) il regista Luchino Visconti vincerà inoltre la Palma d’Oro come miglior film al 16° Festival di Cannes.

Non resta dunque che riconoscere a Villa Lampedusa un immenso fascino e valore culturale, da proteggere e far rivivere, grazie a questo restauro, negli occhi di numerose nuove generazioni di palermitani. E se provassimo ad immaginare con quali parole ancora oggi questa dimora potrebbe parlarci per dirci “a voce” come vorrebbe essere guardata e amata da noi cittadini , credo che lo farebbe con le parole di Giovanni Meli, che ben rendono l’idea dell’incrollabilità del suo destino:

«Ucchiuzzi nìuri, si taliati, faciti càdiri casi e citati; …jeu, muru debuli di petri e taju, cunsidiratilu si allura caju! Sia arti maggica, sia naturali, in vui risplendinu biddizzi tali, chi tutti ‘nzèmmula cumponnu un ciarmu capaci a smoviri lo stissu marmu». [Occhietti neri, se guardate, fate cadere case e città; io, muro debole di pietra e creta, consideratelo, se allora cado! Sia arte magica, sia naturale, in voi risplendono bellezze tali, che tutte insieme fanno un incanto che riesce a smuovere lo stesso marmo.] (prime quattro strofe della lirica “Occhiuzzi niuri” di Giovanni Meli, dedicata a Lucia Migliaccio).


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