Almaas Elman, avvocata degli invisibili

Di Sabrina Landolina – Una ragazza giovane e coraggiosa, un’attivista e una pacifista. Almaas Elman è stata uccisa il 20 novembre scorso, con un proiettile alla testa, mentre era in auto con due colleghi diretti all’aeroporto di Mogadiscio nella fortezza di Halane, luogo considerato sicuro per la presenza le forze militari dell’Unione africana. La giovane aveva appena partecipato ad un incontro con la delegazione europea in Somalia sulla resilienza delle comunità rurali del suo Paese.

Il fotografo freelance Said Fadhaye, che si trovava a bordo della stessa auto, ha raccontato che la donna è morta accasciandosi su di lui ed ha immediatamente dichiarato che si è trattato di un vero e proprio attentato. L’ex presidente Hassan Sheikh Mahamuud ha chiesto chiarezza su quanto accaduto, poiché l’uccisione avvenuta dentro un complesso fortificato come Halane lascia molti dubbi.

Almaas Elman emigrò in Canada con le sue quattro sorelle e la madre dopo le minacce di morte ricevute dal padre Ali Ahmed, anche lui attivista, assassinato da alcuni integralisti nel 1996. Il suo motto era «deponete le armi e prendete in mano una penna». Dal 2010, lei con la madre e le sorelle, decisero di tornare in Somalia per contribuire alla ricostruzione del paese: loro, come decine di altri somali della diaspora, stavano tentando di riappropriarsi del paese e di collaborare per ricostruirlo.

L’attivista lavorava per l’Elman Peace Center, fondazione che gestiva insieme alla madre e alla sorella minore, fondata dal padre prima di essere ucciso. La sua famiglia è da sempre impegnata nella difesa della giustizia sociale, dei diritti delle donne e per la riabilitazione dei bambini colpiti dalle conseguenze della guerra civile. Inoltre Almaas ha lavorato per l’ambasciata somala in Kenya e di recente ha ricoperto il ruolo di consulente per la delegazione dell’Unione Europea in Somalia.

Nel 2017 si era sposata con Zakaria Hersi, imprenditore somalo-svedese. Dagli accertamenti risulta che Almaas al momento dell’omicidio fosse incinta.

Non aveva nemmeno trent’anni, era una ragazza stimata e amata da tutti. La ricercatrice Laetitia Bade la descrive come “un’impegnata e instancabile avvocata delle invisibili sopravvissute alle violenze sessuali in Somalia”. “La sua morte”, ha aggiunto, “ci ricorda ancora una volta i pericoli reali che affrontano i civili a Mogadiscio. Il governo deve investigare sull’omicidio di Almaas, arrestare i colpevoli e lavorare per proteggere tutti i cittadini”.

Almaas ha dedicato la sua vita alla promozione dello sviluppo di una parte del mondo trascurata e dimenticata. Sognava la pace ed incoraggiava tutti, grandi e piccoli, a studiare e a ripudiare ogni forma di violenza e vedeva nell’emancipazione delle donne somale il punto di partenza per far rifiorire la sua tanto amata Somalia. Avrebbe potuto continuare a vivere tranquillamente la sua vita in Canada e invece ha lottato affinché l’Occidente non spegnesse i riflettori sul suo paese, impegnandosi in prima persona a costo, purtroppo, di perdere la vita.

La sua morte non è solo una perdita per la Somalia ma per l’intera comunità internazionale.