Maioliche sui tetti: una storia che passa inosservata

Di Daniele Monteleone – Vi siete mai chiesti cosa siano quelle mattonelle “sbagliate” sui tetti di Palermo? Sembra che alcuni tasselli colorati debbano tappare qualche foro nella struttura di palazzine e tettoie, ma le cose non stanno affatto così! Basta un’attenta osservazione su terrazze e tetti di palazzi ed edifici  storici del centro per capire che  queste “maioliche” non sono tessere casuali piazzate sul cemento.  Certamente si resterà stupiti dalla bellezza di cupole e campanili all’orizzonte, ma si scopriranno anche migliaia di vecchie mattonelle maiolicate.

La ceramica delle maioliche (dal greco antico kéramos, che significa “argilla”, “terra da vasaio”) è storia antica: in Sicilia vi sono testimonianze risalenti fino alla preistoria. La Sicilia è notoriamente portatrice di numerosi esempi di manufatti in ceramica. La stessa ceramica compare per la prima volta in Sicilia nel periodo della preistoria ed in particolare nel Neolitico. Alcuni importanti ritrovamenti sono alcuni reperti, fra cui bicchieri, anfore, fruttiere e vasetti risalgono nel territorio di Castelluccio nel comune di Noto (Siracusa), Milazzo (Messina), Thapsos nella penisola di Magnisi tra Augusta e Siracusa, San Cono in provincia di Catania, Villafrati in provincia di Palermo e Stentinello a nord di Siracusa.

Furono i regnanti normanni ad apprezzare maggiormente l’arte delle ceramiche e ne incoraggiarono immediatamente lo sviluppo: già in quel periodo i pavimenti presentavano decori e colori che oggi potremmo definire caratteristici, ed è così che si affermò una località ampiamente riconosciuta nel settore come Caltagirone quale centro più importante della produzione di ceramica in Sicilia. La lavorazione della ceramica era nettamente diminuita durante le dominazioni romana e bizantina, salvo poi riprendersi dopo le conquiste arabe dell’827. Furono infatti gli Arabi a portare in Sicilia, ad esempio, la tecnica dell’invetriatura del vasellame, un metodo che permetteva di impermeabilizzare i recipienti rendendoli resistenti agli agenti atmosferici. Le maioliche sono a questo punto già una tradizione, un elemento che ha radici profonde nella cultura isolana.

Particolare dei tetti e delle “cupolette” maiolicati, Cattedrale di Palermo (Creative Commons)

Nel XIII secolo si assiste a un periodo in cui avviene un altro rallentamento della produzione  nell’isola dovuto alla persecuzione dei musulmani, gli artigiani che allora, maggiormente, sfornavano bellezza. Fu il contatto con il mondo spagnolo a ridare linfa vitale allo sviluppo tecnico e artistico della lavorazione delle ceramiche decorate. In quegli anni dominati dalle Crociate cristiane e, successivamente, in epoca angioina aragonese, troviamo esemplari di maioliche che presentano l’aspetto tipico con colorazioni decorative su sfondo bianco.

Veniva già applicato lo stagno per lo strato bianco coprente dove si applicavano i colori prima della seconda fase di cottura. Ma la tecnica dello smalto stannifero si affermò definitivamente nel XV secolo. Curiosità: in questo secolo troviamo negli scritti la dizione ‘di Mursia’ usata all’epoca per indicare la provenienza da Murcia. Altre volte indica un tipo molto pregiato di produzione siciliana molto vicina a quella spagnola. Ulteriore testimonianza della “globalizzazione” di questa tecnica artistica da una sponda all’altra del Mediterraneo come una trottola impazzita da un secolo all’altro.

Molti maiolicari palermitani nel corso del XVIII secolo andavano specializzandosi sempre di più nella produzione delle maioliche e nella posa in grandi e importanti edifici, chiese, grandi ville nobiliari e palazzi importanti. Tra il 1700 e il 1800, una città come Palermo vanta numerosi centri di produzione di mattonelle ed arredi per ville, chiese e palazzi. Lo sviluppo ha raggiunto livelli di eccellenza con l’ausilio della tecnica importata dal napoletano, chiamata tecnica del “terzo fuoco” consistente nella colorazione della ceramica in fasi successive alla cottura. Già un secolo dopo le fabbriche palermitane producono per famiglie aristocratiche e appartenenti all’alta borghesia nascente.

Vista dal terrazzo settentrionale di Villa Raffo, Palermo (Creative Commons)

I pavimenti andavano rinnovandosi e le mattonelle divenivano superflue. I componenti delle pavimentazioni, in alcuni casi secolari, si sostituivano con esemplari di più recente costruzione. È così che le antiche mattonelle sono state riciclate per farne delle tegole, vuoi per il pragmatismo del riutilizzo di materiali edili, vuoi per le proprietà isolanti delle mattonelle contenenti stagno per lo smalto decorativo, fino ad assumere il ruolo di “icona”, caduta purtroppo sempre più in fondo nel dimenticatoio.

Dalla fine dell’Ottocento molte sostituzioni di pavimenti settecenteschi di case private, ma anche all’interno di alcune chiese, ormai logorati dall’uso, portavano nelle ville e nei palazzi nobiliari nuove mattonelle maiolicate ottocentesche. Queste erano certamente più resistenti, ma nettamente più ripetitive nei motivi. Nella maggior parte dei casi il passaggio è verso un maggiore “minimalismo”: spariscono i complessi intrecci di fiori e foglie “a tutto pavimento”, privilegiando motivi decorativi su una sola o su poche mattonelle dell’intero piano. La concorrenza napoletana, che vantava inoltre una maggiore precisione, fece il resto, eccezion fatta per Santo Stefano di Camastra. Quest’ultimo fu uno dei centri superstiti di produzione che sul finire del secolo poteva gareggiare con i prodotti napoletani. Poi le maioliche diverranno vero e proprio oggetto di culto, ben più raro, ampiamente sostituito dalla produzione industriale di massa e da nuovi e meno costosi materiali edili.