Il razzismo non va sospeso: va fermato

Di Daniele Monteleone – Balotelli non varrà quanto un operaio dell’(ex)ILVA di Taranto – ce ne vogliono almeno dieci a quanto pare – ma il calciatore del Brescia è in buona compagnia nel mondo dello sport. I cori razzisti sono un problema da tempo. Che discriminino per appartenenza geografica, etnica o per il colore della pelle, certi cori fanno male ai diretti interessati e avvelenano una competizione che si gioca certamente sugli spalti “al sostenitore che urla di più”, ma soprattutto sul campo, dove a contare sono le qualità tecniche.

Mario Balotelli, sportivo estroso e sopra le righe divenuto non solo un noto calciatore italiano nel mondo ma anche una vera e propria celebrità, rispedisce il razzismo in curva calciandolo forte. Si riaccendono così i riflettori sulla questione ma il razzismo nel tifo non si è mai spento. In Italia spesso si mette la polvere sotto il tappeto e s’aspetta di inciampare sull’avvallamento prima di fare pulizia. Ci voleva Balotelli per parlare di punizioni più gravi? No. È un personaggio antipatico al pubblico; ha rilievo? No.

Le regole parlano chiaro: il regolamento della Fgci punisce «striscioni, scritte, simboli, cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica». Vi è la possibilità di una sospensione temporanea o definitiva di una partita. La sospensione definitiva comporta la sconfitta a tavolino della società ritenuta responsabile mentre in caso di sospensione temporanea sono invece previste multe, chiusure di un singolo settore dello stadio, obbligo di disputare partite a porte chiuse, squalifiche del campo fino ad arrivare – in casi estremi – all’esclusione dal campionato. Le bandiere naziste, i saluti romani, i fasci littori, i cori discriminatori contro meridionali o giocatori di pelle scura sono realtà ancora diffuse fra gli spalti. Ognuno di questi episodi meriterebbe la sospensione definitiva della manifestazione sportiva: dentro ogni tempio dello sport, dalla piccola palestra di provincia allo stadio di un grande club, non c’è spazio per la discriminazione. Non si tratta, neanche lontanamente, di libertà di opinione.

Un’altra sospensione era arrivata poche ore prima allo Stadio Olimpico per Roma-Napoli a causa dei cori vergognosi contro i partenopei, quelli che in molti canti vanno «lavati col fuoco del Vesuvio». Sono bastati quattro minuti per l’arbitro Mariani per far riprendere regolarmente il gioco. A Verona invece Super Mario stava prendendo la via degli spogliatoi facendo cenno che non avrebbe più giocato ma fortunatamente compagni e avversari lo hanno abbracciato per farlo desistere. Di nuovo, qualche minuto e si ritorna a giocare. Solo ieri l’ennesimo protagonista dell’odio sugli spalti è Taison, centrocampista brasiliano dello Shakhtar. Bersagliato dagli insulti di alcuni tifosi della Dynamo Kiev insieme al suo connazionale Dentinho, ha mostrato il dito medio e ha scagliato il pallone in curva. Una scena già vista, non solo per l’accaduto in sé ma per i terrificanti precedenti della tifoseria ucraina. Qui però è andata diversamente: per lui è arrivata l’espulsione fiscalissima dell’arbitro Mykola Balakin, con il calciatore che andava negli spogliatoi in lacrime. Gara sospesa anche qui e poi ripresa.

La differenza possono farla le risposte in seguito ai casi deprecabili. Il capo ultrà veronese, Luca Castellini, aveva rivendicato l’azione razzista contro Balotelli definendo il giocatore «non del tutto italiano» mentre allenatore e club hanno cercato di minimizzare l’accaduto in campo, chiedendo di non «generalizzare sul Verona e i suoi tifosi», salvo poi allontanare dallo stadio lo stesso Castellini fino al 2030. La Dynamo, in seguito all’ennesimo razzista della propria tifoseria, ha invece ribadito sul suo profilo ufficiale Twitter «Il calcio non è un luogo di razzismo #NoToRacism».

Ma non stiamo a parlare solo di star irraggiungibili del Calcio. La settimana scorsa a Mugnano, nel napoletano, non ha fatto notizia l’incontro tra i padroni di casa del Giugliano e il Licata. Stavolta l’episodio si risolve in maniera inedita. Siamo in Serie D. L’ivoriano Aboubakar Diaby, entrando in campo in sostituzione di un suo compagno, viene offeso da alcuni tifosi avversari. Il calciatore abbandona il campo in lacrime. Al termine della partita – anche qui bellezza ed eleganza di un gesto sportivo – i dirigenti del Giugliano si sono recati da Diaby, e lo hanno accompagnato sotto il settore occupato dai tifosi di casa, scatenando un caloroso applauso di scuse e di solidarietà. Un lieto fine che ha riunito tutti intorno alla causa sportiva isolando subito gli idioti (chiamiamoli col loro nome).

Un mese e mezzo fa – e chissà quanti altri in mezzo a questo lasso di tempo – era stata la volta Raul Diaz, giovane giocatore di pallacanestro della New Basket Giugliano. Siamo nella stessa località del caso Diaby, ma l’episodio è ben diverso: un avversario di Raul ha definito il giocatore italiano di origini cubane «nero di merda». Diaz ha poco dopo abbandonato il campo, seguito dal coach Genni Di Lorenzo che ha deciso di ritirare la squadra, facendo terminare di fatto la partita. Il club avversario, Casapulla, ha difeso l’autore dell’offesa razzista classe 2001 – ricordiamo, fatta a un italiano come tanti altri “colpevole” di avere la pelle più scura – ritenendo che il giocatore «non pensava a quello che stava dicendo».

L’orrore senza fine contiene 1, 10, 100 Balotelli, poiché, “non sarà un operaio dell’(ex)ILVA” – continuando in questo grottesco raffronto insensato – ma se ne parliamo sempre poco, e si prendono provvedimenti troppo leggeri, economicamente e disciplinarmente, i colpevoli continueranno a rovinare lo sport. In un paese dove una sopravvissuta all’Olocausto gira con la scorta – eccessiva o preventiva che sia questa misura – all’indomani di una votazione quantomai controversa come quella su una Commissione contro i crimini d’odio dobbiamo riflettere su quali siano i soggetti da isolare e quali affermazioni condannare collettivamente. Non si può continuare a guardare il dito mentre viene puntata la Luna.


Immagine in copertina da Open