Cosa sta accadendo in America Latina

Di Antonio Di Dio – Questi ultimi mesi del 2019 sono stati davvero carichi di tensione e pieni di stravolgimenti in America latina, dal Brasile al Cile, dall’Argentina alla Bolivia fino al Venezuela: cambi di governo, leader politici in esilio o scarcerati, ondate di proteste e ribellioni sedate con violenza dai governi, economie al collasso e una sempre maggiore incertezza.

Ma andiamo con ordine: quasi tutte le rivolte in questi Paesi hanno un unico denominatore comune, ovvero la crisi economica, ingigantita dall’eccesso di neoliberismo (Argentina, Cile, Ecuador) e dall’instabilità politica accelerata, oltre che caotica e in alcuni casi violenta, che stanno vivendo i Paesi membri dell’asse bolivariano (Venezuela, Nicaragua, Bolivia).

Il quadro è abbastanza preoccupante. Questi Paesi occupano una posizione subordinata nella geopolitica mondiale anche in virtù della loro assoluta dipendenza economica da decisioni prese “altrove“. Con la crisi finanziaria e il successivo crollo del prezzo del petrolio, le recenti conquiste, ottenute grazie a decenni di crescita e all’aumento del prezzo delle materie prime, sono a rischio.

Il caso cileno. Il Cile è l’emblema del fallimento neoliberista in Sud America, dove da più di un mese è scoppiata una rivolta collettiva che non si vedeva dai tempi del regime di Pinochet (in carica dal 1973 al 1990).  Quando il presidente Sebastián Piñera ha deciso di revocare l’aumento del prezzo del biglietto dei trasporti pubblici, quello che ha provocato giorni interi di guerriglia infernale, l’Esercito ha proclamato il coprifuoco totale in tutta Santiago del Cile (la prima volta dai tempi di Pinochet), dopo la proclamazione dello stato di emergenza – e dopo 3 morti negli scontri di piazza. La gente è stata obbligata a restare in casa e a non poter uscire dalle 9 di sera alle 7 del mattino. Il governo non è stato in grado di gestire questa sommossa, sollecitata dai giovani ma poi attuata dalla maggior parte della popolazione.

In rete sono circolate tantissime testimonianze attraverso fotografie e video dei soprusi con cui la polizia e l’esercito cileno hanno tentato di reprimere le proteste anti-governative: persino l’Onu si è espressa, con un documento durissimo che ha condannato le azioni violente del governo.

«L’alto numero di feriti e il modo in cui sono state utilizzate le armi sembrano indicare che l’uso della forza è stato eccessivo e ha violato il requisito di necessità e proporzionalità». L’Onu in particolare aveva incaricato un gruppo di esperti indipendenti di indagare sulla situazione del Paese, raccogliendo un bilancio di ben 20 morti e 1600 feriti dal 18 ottobre ad oggi. Questo bilancio ha portato l’Onu a esprimersi con un documento allarmante, in cui si fa riferimento ad abusi su minori, violenze sessuali e maltrattamenti da tortura.

Il caso boliviano. Il presidente Evo Morales si è dimesso dopo le violente manifestazioni di opposizione da parte delle forze armate e del comandante generale della Polizia. Il presidente Morales ha parlato di un vero e proprio golpe, annunciando inoltre che si recherà in Messico, il quale ha accettato la sua richiesta di asilo politico. Dopo il presunto sospetto di brogli da parte del presidente Morales sono cominciate in tutto il Paese manifestazioni da parte delle opposizioni, piegando persino militari e poliziotti. Negli ultimi giorni, sostenitori del governo hanno denunciato inoltre abusi e violenza da parte degli oppositori e delle forze dell’ordine contro contadini e comunità indigene in diverse province del paese. In tre settimane di scontri ci sono stati 3 morti, più di 200 arresti e 350 feriti. Il leader delle opposizioni è stato Carlos Mesa ma ora sembra esserlo il principale esponente di Comitati civici, organizzazione di impresari e classi medie, Ferdinando Camacho, avvocato ultracattolico considerato da molti il “Bolsonaro boliviano”.

Durante i suoi 13 anni e 9 mesi di governo la Bolivia si è trasformata inaspettatamente nel paese sudamericano con la maggior crescita economica. In ambito geopolitico il suo governo ha fatto molti affari con Cina e Russia e alcuni dei progetti pianificati con queste due potenze non sono stati nemmeno completati. Tra questi, c’era anche quello di realizzare una centrale nucleare russa in Bolivia, ipotesi che ha suscitato lo scalpore delle opposizioni che temono lo sfruttamento eccessivo delle riserve di materie prime del paese (prime fra tutte, le riserve di litio), tra le più grandi al mondo e che fanno gola a tutte le potenze mondiali.

Nonostante la stabilità economica, le opposizioni, estromesse dal potere dal 2006, sono riuscite ad interrompere l’esecutivo costituzionale con l’appoggio di esercito e polizia. Si tratta di un forte colpo alla sinistra sudamericana, poiché Evo Morales era alleato incondizionato del governo venezuelano e godeva ancora di un certo prestigio internazionale.

Il caso brasiliano. In Brasile il giudice Danilo Pereira Jr. ha ordinato la scarcerazione dell’ex presidente Luiza Inacio Lula da Silva, il quale è uscito dal carcere, dove stava scontando la sua pena dall’aprile del 2018 (580 giorni di prigionia), iniziata un’ora dopo la sentenza. La sua era una condanna in secondo grado a 12 anni ed un mese per corruzione e riciclaggio.

Pare che il presidente brasiliano Bolsonaro non abbia preso bene la notizia e pare essersi lamentato della decisione della Corte Suprema, mentre i sostenitori di Lula festeggiano da giorni. Ha fatto successo l’hashtag lanciato sui social #LulaLibreMañana.

Sicuramente Lula esce dal carcere in un momento delicato, dopo aver assistito alla vittoria dell’ultradestra di Bolsonaro e con la vittoria di Mauricio Macri in Argentina ai danni di Cristina Kirchner, ma soprattutto all’arrivo della crisi boliviana.


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