The Wall dei Pink Floyd parla ancora di noi


Il 30 novembre 1979 usciva un album che rappresenta una delle pietre miliari più importanti della storia della musica. Parliamo del monumentale The Wall, pubblicato dalla band inglese Pink Floyd. In quattro decenni, l’album ha emozionato molteplici generazioni, ed è ancora oggi uno degli album più ascoltati e con il messaggio più attuale della lunga e affascinante discografia della band. Attorno a The Wall ruotano numerose storie e spunti che oggi vi racconteremo in questo articolo, come le vicissitudini interne alla band durante gli anni ’70, la storia di Roger Waters attraverso il personaggio di Pink, e soprattutto di come questo album non mostri alcun segno di vecchiaia.

I Pink Floyd negli anni ’70, tra i contrasti con il pubblico e tensioni interne. Dopo l’enorme successo di The Dark Side of The Moon (1973), Wish You Were Here (1975), e Animals, album del 1977 di cui vi abbiamo parlato in questo articolo, i Pink Floyd erano ormai diventati una band di fama mondiale. Celebri specialmente per i loro concerti, tra maiali volanti, laser e giochi pirotecnici, la band non aveva rivali in termini di esibizioni dal vivo, e dovunque riscuoteva il sold out dei biglietti.

In studio, la band ha prodotto degli album di altissimo profilo, ponendosi di diritto nell’olimpo delle rock band più influenti e riconoscibili di sempre. La storia di The Wall inizia parlando del rapporto tra i Pink Floyd, specialmente nella persona di Roger Waters, e il loro pubblico. La band ha sempre avuto un rapporto particolare con i propri fan, fin dai primi concerti di fine anni ’60, quando in alcuni concerti il pubblico si aspettava del blues invece di lunghissime improvvisazioni, protestando lanciando monete o versando birra dai palchi superiori.

Dopo il successo decretato dai suddetti album, la band cominciò a suonare in luoghi decisamente più capienti e, in un certo senso, spersonalizzanti. Nel 1975, Roger Waters, bassista della band, a riguardo del rapporto con i fan affermò: «Ho attraversato un periodo dove desideravo di non fare più alcun concerto coi Floyd […] mi sono sentito terribilmente male nell’ultimo tour americano con tutte quelle migliaia e migliaia di bambini ubriachi che si facevano a pezzi tra di loro. Mi sono sentito terribile perché non c’entravano nulla con noi, non c’era nessun contatto tra loro e noi. Non mi piace. Non mi piace tutta questa isteria da superstar». I Pink Floyd, e specialmente Roger Waters, non amavano essere travolti dal successo, così come suonare in luoghi dove mancava l’intimità tra loro e chi li stava ascoltando.

C’è un evento che segna l’inizio dell’idea che diventerà poi il concept di The Wall e si tratta del famoso incidente in cui Roger Waters sputò ad un fan, durante un concerto a Montreal nel 1977. Esiste una mostra basata su The Wall alla Rock N’ Roll Hall of Fame a Cleveland, dove si trovano delle parole di Roger Waters scritte nel 1995 che ci fanno comprendere cosa sia successo, e come Waters si sia sentito dopo l’evento: «Ai vecchi tempi, pre-Dark Side of the Moon, i Pink Floyd suonavano ad un pubblico che, in virtù della sua dimensione, permetteva un’intimità e connessione che era magica. […] la magia è stata schiacciata dal peso dei numeri. Eravamo dipendenti dalle trappole della popolarità. Mi sono trovato sempre più alienato in quella atmosfera di avarizia ed ego finché una notte notte allo Stadio Olimpico di Montreal, il bollore della mia frustrazione esplose». Waters sputò in faccia ad un ragazzo, gesto di cui si pentì ma che lo chiuse ancora di più rispetto al rapporto con il suo pubblico. «Il muro fu l’immagine che dipinsi per me stesso». Anche all’interno della band convivevano varie tensioni tra Waters, Gilmour, Mason e Wright.

I Pink Floyd sono sempre stati una band senza un vero frontman, ma già dalla narrazione proposta dal concept album Animals, si nota come Waters avesse pretese di prendere il controllo della band. Animals, come sarà The Wall, nascerà prettamente dalle idee di Waters, che arrivò addirittura a ipotizzare l’esclusione di Mason e Wright, rispettivamente batterista e tastierista, dalla band. Tuttavia, le versioni differiscono a seconda dei punti di vista dei membri: Gilmour, Mason e Wright affermarono che Waters era diventato intrattabile ed egocentrico, mentre Waters disse che il resto dei membri erano attaccati al successo e al nome Pink Floyd in termini di guadagni economici. The Wall rappresenterà sostanzialmente la fine dei Pink Floyd con la formazione comprendente tutti e quattro i membri.

L’album e il suo concept. The Wall rappresenta il progetto più ambizioso della band. È una rock opera, un complesso e articolato lavoro in cui le 26 tracce, divise in due LP/CD, immergono l’ascoltatore e raccontano la storia di Pink, che sta alla base del concept dell’album. La copertina rappresenta un vero e proprio muro bianco, e gli artwork (tradotti poi in personaggi gonfiabili da usare durante i scenografici concerti) sono curati da Gerald Scarfe. La storia ripercorre la costruzione di un muro tra Pink e la società che lo circonda.

L’ordine delle tracce rappresenta approssimativamente la vita del protagonista, che a seconda delle interpretazioni può ricordare la vita dell’ex-membro Syd Barett, con elementi che per certo rimandano al trascorso di Roger Waters. Si inizia con “In the Flesh?”, brano che inizia con un concerto rock in cui il musicista è proprio il protagonista, e finisce con il pianto di un bambino appena nato, che rappresenta proprio la nascita di Pink, momento che ci accompagna al secondo brano. Il bambino passa la sua infanzia con la madre (“The Thin Ice”), con un testo che minaccia già quello che potrebbe accadere nel suo futuro: “Non essere sorpreso quando una crepa nel ghiaccio, appare sotto i tuoi piedi”.

Nei tre brani successivi, ovvero “Another Brick in the Wall, Part 1”, “The Happiest Days of Our lives” e “Another Brick in the Wall, Part 2”, si racconta di come il bambino sia tormentato a scuola da professori-tiranni, e di come Pink non abbia mai avuto la possibilità di conoscere il padre, morto poco dopo la sua nascita in un campo di battaglia della Seconda Guerra Mondiale: «Papà è volato attraverso l’oceano, lasciando solo un ricordo, una foto nell’album di famiglia. Papà, cos’altro hai lasciato per me? ». È in questo punto che si trova la connessione con la storia personale di Roger Waters, orfano di padre che a sua volta era rimasto orfano del suo, entrambi morti nelle due guerre mondiali. “Another Brick in the Wall, Part 2″ è stato uno dei singoli di maggior successo dei Pink Floyd, e la canzone divenne un’icona per ciò che riguarda la resistenza degli studenti contro un sistema scolastico ed educativo oppressivo e alienante. Celebri versi del brano come Noi non abbiamo bisogno di istruzione/Non abbiamo bisogno di controllo sul pensiero/Di oscuro sarcasmo in classe/Insegnanti, lasciate stare i ragazzi”.

Questi eventi e sofferenze sono i primi mattoni di un muro che Pink costruisce tra di lui e le persone che lo circondano. Altri “mattoni” saranno gli eventi e le persone descritti nei brani successivi, come la mamma iper-apprensiva (“Mother”), il terrore dei bombardamenti durante il Blitz tedesco (“Goodbye Blue Sky”), un matrimonio insoddisfacente (“Empty Spaces”), una groupie (“Young Lust”), la stessa che sarà testimone del crollo emotivo di Pink dopo il tradimento della moglie (“One of My Turns”), che rappresenterà anche il tema di “Don’t Leave Me Now”.

Nella terza parte di “Another Brick in the Wall” e in “Goodbye Cruel World”, brano finale dell’album, il muro di Pink è completo. Il protagonista tenta, ma troppo tardi, un ultimo contatto aldilà del muro nel brano “Hey You”, ma cade in depressione fino a quando viene trovato sotto effetto di droghe e completamente inconscio in “Comfortably Numb”. I medici iniettano delle medicine per permettere a Pink di riprendere le sue performance, e ciò lo porta in uno stato di allucinazione dove Pink continua i suoi concerti (“The Show Must Go On”) immaginandosi come un dittatore che rende i suoi concerti simili ad una parata nazista. In questo viaggio, il Pink dittatore attacca le minoranze etniche (“Run Like Hell”) e invade Londra (“Waiting for the Worms”).

Con “Stop” finisce l’allucinazione di Pink, che adesso è soggetto ad un processo (“The Trial”), in cui l’accusa è quella di aver provato a interagire con altri esseri umani, contraddicendo il suo destino segnato di uomo isolato, alienato e pazzo. La sentenza finale è quella di “Tear down the wall!”, ovvero abbattere il suo muro, momento che rappresenta la fine dell’album con “Outside the Wall”. Il brano finisce con le parole «Non è da qui che.. » ricollegandosi alle prime parole dell’album «..siamo entrati? », contenute nel primo brano “In the Flesh?”. La scelta di legare i testi dell’ultimo e del primo brano dimostra l’intenzione di Waters di comunicarci che questo processo, rappresentato dalla costruzione e abbattimento di muri, è ciclico nelle vite di tutti noi.

Il messaggio e l’attualità di The Wall. I temi più profondi dell’album sono dunque l’alienazione, l’isolamento, la pazzia, la mancata accettazione dell’anticonformismo da parte della società, e tanti altri che rendono ogni brano dell’album una fonte di ispirazione per riflessioni che ancora oggi rimangono valide e che stanno alla base del suo incredibile successo. Il tema della costruzione e distruzione dei muri, incarna in sé riflessioni sociologiche, psicologiche e politiche, ed è per questa ragione che Roger Waters ha riadattato il concept di The Wall più volte nella sua carriera, specialmente nei suoi tour da solista. È storica, specialmente considerando la sua carica simbolica, l’esibizione di Roger Waters davanti la Porta di Brandeburgo, a Berlino, un anno dopo la caduta del suo muro nel 1989, considerando che negli show di The Wall veniva costruito e distrutto un vero e proprio muro sul palco.

L’attualità di quel concerto, e di tutto l’album, è forte ancora oggi in un mondo dove vengono continuamente costruiti dei muri che dividono i popoli, ma non solo. Viviamo in una società profondamente affetta dal conformismo, e un po’ tutti noi almeno una volta nella vita ci sentiamo giudicati metaforicamente in un processo dove la società ci accusa di voler semplicemente essere noi stessi, proprio come in “The Trial”. La fine della storia di Pink, nell’album, può però avere una nota positiva: quando ci sentiamo chiusi in un muro, non dobbiamo dimenticarci che aldilà di esso si trovano delle persone disposte ad aiutarci e credere in noi.

In altre parole, l’opera ci invita a resistere affinché non vengano costruiti dei muri che possano compromettere la vita delle persone, sia da un punto di vista personale che in una più ampia visione della società, specialmente in riferimento alla politica. The Wall, più che circoscriverci in uno spazio delimitato da mura, ci invita a guardare oltre, superando le barriere mentali che abbiamo imposto al diverso, all’estraneo, alla minaccia.