Thawra, il racconto di un Libano in fiamme

Di Federica Agrò – Comincia tutto quasi per un nonnulla, l’aumento del biglietto della metro a Santiago del Cile, della benzina in Ecuador e infine una tassa sulle chiamate WhatsApp in Libano. Davvero basta così poco per scatenare una rivolta? Evidentemente fermenti di insoddisfazione e repressione covavano nell’aria già da tempo. E piccoli aumenti del carovita diventano grandi ragioni per manifestare un dissenso.

Il 17 ottobre è iniziato tutto come una semplice protesta giovanile, oggi chi vi prende parte la chiama rivoluzione, Thawra. Le ragioni della protesta sono, ancora una volta, le condizioni economiche, le misure di austerity sempre a carico della popolazione più vulnerabile, la corruzione di una classe politica attaccata alla poltrona da ormai 30 anni e le forti diseguaglianze sociali.

Qualche settimana dopo l’inizio della protesta, una catena umana di oltre 170 km ha attraversato il Libano; migliaia di uomini, donne e bambini tenendosi per mano hanno voluto esprimere la propria solidarietà e vicinanza nei confronti dei manifestanti di piazza. La rivoluzione Libanese ha mostrato un coraggio e una spontaneità che sembra promettere il conseguimento dei propri obiettivi. Il primo è stato raggiunto: dopo tredici giorni di piazze gremite, il governo si è dimesso.

Ma come si è arrivati a questo, e cosa accadrà dopo? Come già sostenuto in passato, la verità sta in piazza, ed è da lì che arriva Bilal Moustafa. Lui è un giovane Libanese che studia Scienze Politiche in Italia, e che si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Afferma che il destino lo ha riportato in patria per prendere parte alla rivoluzione e, in effetti, sembra proprio così.

Dopo undici giorni di piena attività rivoluzionaria Bilal, appena rientrato in Italia, è felice di raccontarci cosa ha vissuto tra le piazze di Beirut. Non una semplice rivolta popolare, ma due rivoluzioni parallele: di una se ne percepisce la spontaneità, dell’altra i macchiosi giochi politici. «Ho visto quello che ho visto, e sono qui a raccontarlo».


Fotografia in copertina di Bilal Moustafa