Quel piano che ha fatto innamorare i Palermitani

Di Daniele Monteleone – A volte non si può rimanere sordi davanti a una richiesta di aiuto tanto bella. È stato questo il Piano City Palermo: una richiesta di partecipazione e sostegno mascherato da evento musicale. Non che questo faccia passare la musica in secondo piano, anzi, è il principale motore che mette in movimento gli spettatori. La “scusa” musicale funge qui da veicolo per riunire persone diverse, in quartieri diversi, a contatto con realtà diverse, spesso lontane. Al contempo si spera che le persone si avvicinino alla musica portando quest’ultima direttamente in mezzo alle città, in mezzo alle persone.

«Siamo stati tantissimi a ritrovarci nelle vie, nelle piazze e nelle case dei molti quartieri di Palermo, ad ogni ora del giorno e della notte, accomunati dalla voglia di stare insieme ad ascoltare musica e vivere la città». È quello che si legge sulla pagina del Piano City Palermo alla conclusione dell’evento che ha avuto luogo dal 27 al 29 settembre, anticipato da una preview della preview il 26 settembre con un esclusivo concerto nei pressi dell’edificio 18 dell’Università degli Studi di Palermo. Pochi concetti alla base dell’evento: prima di tutto l’esperienza, la condivisione – non quella spasmodica sui social – in un luogo spesso vuoto, chiuso o “riservato ai paganti”. Poi l’ascolto di musicisti talentuosi che colorano l’aria abitualmente grigia, contenuta fra pietra e cemento. Infine la scoperta di – o la voglia di apprezzare di nuovo – artisti, scorci, palazzi storici, giardini e aree restituite alla città. Condivisione, ascolto, scoperta.

Rosario Lo Franco nei pressi dell’edificio 18 di UniPa – Foto Ester Di Bona

Repertori che spaziano dal pop al rock, dal romanticismo al minimalismo, dal barocco all’elettronica. Pink Floyd, Beatles, Massive Attack, Feldman, Chopin, Debussy, Liszt, Mozart, Beethoven, Sakamoto, le grandi musiche dei cartoni animati Disney e molto altro ancora. Scelto, come sempre, un parco musicale ampio, un po’ per tutti i gusti, utile ad attirare a sé una consistente fetta di palermitani. E rispetto all’edizione del 2018 pare aver richiamato un numero maggiore di spettatori.

L’opening allo Stand Florio con Davide “Boosta” Dileo col duetto pianoforte-45 giri, supportato da sintetizzatori, regala a un pubblico giunto numeroso una performance potentissima e profonda. E dalla nottata sotto le stelle dello Spasimo all’alba sul molo recuperato di Sant’Erasmo – sempre fra i primi eventi del Piano City – servono poche ore a chi non conosce la manifestazione per carpirne l’entità e gli “effetti”. Raduni di appassionati, gruppi di ragazzi senza vincoli di orario notturno, magnetismo per qualunque cosa abbia a che fare con la musica. Non sarà infatti difficile incontrare nel pubblico musicisti di diversa estrazione. Si scorgono, fra gli spettatori, diversi occhi chiusi nel godimento delle note sussurrate dalle dita dei pianisti. Si scorgono anche tantissimi occhi elettronici – le fotocamere – immortalare momenti di rara bellezza.

Davide Santacolomba per “Alba a Sant’Erasmo” – Foto Ester Di Bona

Non sono favole – a parte quelle narrate da Giacomo Cuticchio, che riporta in musica antiche storie, miti e battaglie – quelle che raccontiamo. Quella che abbiamo visto è una città che non sa di esserci e di essere numerosa. Palermo non sa di essere “tanta” e non conosce quante risorse, umane e culturali, affollano la città. Associazioni, comitati di quartiere – si pensi allo spazio risistemato sotto il murales di Santa Rosalia a Ballarò, prima una discarica proprio davanti l’Ospedale dei Bambini, o il caso di un quartiere più visibile di prima, Danisinni, in cui si è esibito Silvan Zingg – fanno conoscere il proprio attivismo e il proprio operato. E poi giardini nascosti, luoghi privati messi a disposizione per gli “House Concert” (gli eventi su prenotazione in abitazioni private) giungono a un pubblico cittadino esploratore “a casa” e meno esterofilo.

Quando ci si ritrova in tanti ci si stupisce e ci si sente anche meglio, sollevati dal pessimismo quotidiano di un angolo di mondo considerato morto. Una prudenza – per non dire ancora pessimismo – che si avverte anche nella scelta di alcune location per gli eventi che hanno riempito il vasto programma del Piano City. A volte il numero massimo è stato di 100 o 200 partecipanti, abbondantemente al di sotto di quanti accorrevano al concerto. Il Cimitero degli inglesi che ha ospitato il tributo ai Pink Floyd di Elpidia Giardina ha lasciato fuori un altro centinaio di persone desiderose di parteciparvi. Non sono mancate le lunghe code anche allo Stand Florio, allo Spasimo, a Palazzo Abatellis, segno di una fame culturale non indifferente. Inutile citare il bagno di folla per il tributo ai Queen di Gabriele Baldocci che si è tenuto davanti San Giovanni degli Eremiti, dove migliaia di persone si sono ritrovate a cantare trovando posto dove possibile, sui marciapiedi, sull’asfalto del piazzale. Non avrebbe stupito la presenza di giovani arrampicati sugli alberi.

Sono in fondo gli obiettivi del Piano City, progetto partito a Milano e giunto alla sua trionfale ottava edizione, quelli di riunire appassionati e “turisti nel mondo della musica”. Se la gente non può vedere i concerti o non vuole saperne di musica classica, glieli porteremo sotto casa! avranno pensato gli organizzatori che hanno trasportato l’evento dal capoluogo lombardo a quello siciliano. Nel caso di Palermo, la richiesta di aiuto è evidente: ci chiede di aiutarla a viverla e rispettarla di più. Perché la città più bella non è quella con i monumenti più antichi o quella con più colori, ma è quella amata dai suoi cittadini.


Tutte le fotografie dell’articolo di Ester Di Bona

2 commenti

I commenti sono chiusi