Abiy Ahmed Ali, premio Nobel per la Pace 2019

Di Serena Mangiafridda – “Alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace”. Queste sono le parole lasciate in testamento da Alfred Nobel attraverso cui istituiva il Premio Nobel per la Pace.

Questa importante onorificenza – conferita per la prima volta nel 1901 – viene assegnata da un comitato composto da personalità scelte dal parlamento norvegese e la cerimonia di premiazione si svolge ad Oslo, a differenza di quanto avviene per gli altri quattro premi creati dallo scienziato – chimica, medicina o fisiologia, letteratura e fisica – che vengono assegnati da istituti svedesi e consegnati a Stoccolma. Le ragioni per cui Nobel prese questa decisione non sono certe, si pensa che volle favorire una soluzione pacifica nella separazione tra Svezia e Norvegia che al tempo erano unite sotto lo stesso regno.

Una particolarità di questo premio è che se non sussistono i presupposti previsti dallo statuto può anche non essere assegnato. Ripercorrendo la storia del secolo scorso diversi sono stati gli anni senza un “vincitore” come per esempio durante le due guerre mondiali, la Guerra Fredda e la Guerra del Vietnam.

Uno dei meriti del Nobel per la Pace è quello di far conoscere al mondo le storie più lontane. Lo scopo non è solo celebrare il premiato ma che quest’ultimo sia da esempio e smuova la coscienza del resto dell’umanità. Quest’anno, nonostante i drammatici conflitti che attraversano il mondo, il Premio è stato consegnato a Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia.

Personaggio innovativo nel panorama africano, nel giro di qualche mese ha già rivelato la sua eccezionalità stipulando una storica pace con l’Eritrea e riaprendo il confine tre i due Paesi, oggetto di contrasti da decenni. Le implicazioni di questa svolta sono enormi per tutto il Corno d’Africa, costituiscono la premessa della fine degli scontri in Somalia e rappresentano l’auspicio di un iter di pacificazione e ricostruzione. Inoltre l’autocrate eritreo, Isaias Afwerki, avendo intrapreso il processo di riavvicinamento con Abiy non ha più scusanti per la chiusura difensiva del suo regime e per l’isolamento internazionale che ne è derivato.

Il leader etiope si è mosso anche in politica interna ponendo fine allo stato di emergenza e liberando migliaia di prigionieri politici, permettendo il rientro degli oppositori politici in esilio. Un esempio su tutti è la nuova guida della Commissione elettorale, da lui scelta: un giudice e membro dell’opposizione rientrata dopo sette anni di esilio negli Stati Uniti. Il giovane primo ministro ha anche eliminato ogni genere di censura, ha sostituito i vertici dell’esercito, della polizia e dell’intelligence, ha aumentato le quote rosa all’interno dei ministeri e ha portato alla presidenza della repubblica – per la prima volta – una donna, Sahale-Work Zewde. In campo economico ha annunciato la graduale liberalizzazione dei settori che venivano controllati dallo stato, come le telecomunicazioni, le linee aeree e l’energia; in campo politico ha dimostrato il suo spirito illuminato promettendo le libere elezioni nel 2020, decisione straordinaria presa da un capo di governo che controlla tutti i seggi nel parlamento.

da Africanews

Oltre a tutte queste riforme epocali, Abiy Ahmed sta lottando per il superamento delle tensioni interne ai gruppi etnici del paese, proponendo un linguaggio che mira a unire e riconciliare, nel rispetto delle diversità identitarie. Il profilo etnico del primo ministro ha d’altronde giocato un ruolo fondamentale nella sua ascesa: figlio di padre oromo e madre amhara, i due gruppi etnici etiopi più numerosi che si sono coalizzati puntando su Ahmed, interrompendo così il lungo predominio dei tigrini.

L’impegno del primo ministro ha avuto un’ampia risonanza ed ora più di prima questo lavoro deve proseguire, nello spirito dei valori e dei principi del premio Nobel della Pace, per lasciare un’eredità durevole al paese ed essere un punto di riferimento per le generazioni future.


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