Il saluto della discordia

Di Mario Montalbano – Che il rapporto tra lo sport e la politica rappresenti un argomento spinoso, non è certo una novità. In Italia, tra saluti romani e pugni chiusi ne sappiamo sicuramente qualcosa. Così come nel passato, più o meno recente, sono stati diversi i casi a livello internazionale di gesti, di esultanze, e di dichiarazioni di stampo politico, atti a polemizzare verso una nazione o un personaggio politico, o a ergersi in difesa di una ideologia o di una minoranza etnica.

A far riemergere con forza il tema in questi giorni ci hanno pensato i calciatori della nazionale turca durante le partite di qualificazione a Euro 2020, con il gesto del saluto militare rivolto in segno di solidarietà verso la propria nazione e il loro premier Erdogan, al centro delle accuse occidentali per aver lanciato l’offensiva contro le postazioni curde nel nord-est della Siria. Un gesto reiterato a breve distanza nelle partite contro Albania e Francia, in barba a tutte le feroci polemiche generatesi a ogni livello nello scenario internazionale politico e sportivo, e che soprattutto è stato seguito dalle parole, scritte e dette, dei diretti protagonisti apparsi per nulla pentiti e timorosi delle conseguenze.

Esultanza turca, durante la partita Francia-Turchia (Open)

La fermezza, al limite della spudoratezza, mostrata dai vari componenti della nazionale, sembra esser la riprova di quanto sia solido il legame con la propria nazione e soprattutto con il proprio incontrastato sovrano politico. O per lo meno, questo è il messaggio che i calciatori turchi hanno voluto lasciar passare. Una delle letture più discusse in questi giorni è che dietro la noncuranza per le conseguenze ci possa esser una posta in palio molto più alta del mero aspetto “politico”.

Al di là di ogni giudizio sulle guerre, e quindi anche sul conflitto, ormai storico, tra turchi e curdi, non può passare inosservato in un contesto tutt’altro che democratico, quanto sia forte il rischio di subire delle ritorsioni, sotto forma di minacce ai familiari o di sequestri patrimoniali, specie per tutti quei calciatori che giocano al di fuori dei confini turchi. I casi dell’ex bandiera turca, e conoscenza del nostro campionato, Hakan Sukur e del cestista NBA Enes Kanter, raccontati in questi giorni, sono testimonianze visibili di come e quanto sia complessa la vicenda e altrettanto difficile “pretendere” qualcosa dai diretti interessati.

D’altro canto, appare impossibile non rimanere sgomenti per l’ennesimo conflitto che rischia di sconquassare ancora di più una zona già di per sé devastata da guerre e violenze. E quindi criticare chi solidarizza con quanto stia avvenendo in Siria ai danni dei curdi. Per questo, anche in maniera naturale, il saluto militare ha finito per generare delle reazioni particolarmente dure, istituzionali e non. A livello calcistico, sui social tra i trending topic più diffusi, è emerso soprattutto quel “No Finale a Instabul” per proporre il boicottaggio della finale di Champions League prevista per il 30 maggio 2020 allo stadio Ataturk di Instabul. La UEFA, il principale organo politico sportivo, da par suo ha deciso di aprire un’indagine per “comportamento politicamente provocatorio”, dall’esito, in termini di sanzioni, tutt’altro che scontato.

Il Presidente Uefa: Aleksander Ceferin

A ben vedere, a livello prettamente calcistico, non potrebbe esser altrimenti, trovandoci all’inizio di un conflitto che rischia di trascinarsi per mesi, chissà per anni. E di cui, è bene ricordare, sarà difficile ipotizzare i reali risvolti a livello geopolitico, a cui, purtroppo per certi versi, lo sport deve piegarsi.


Foto di copertina da NOS