Dalla superficialità di Vespa alla «donna oggetto» in un attimo

Di Beatrice Raffagnino – La notte del 16 maggio 2010, Lucia Panigalli venne aggredita dal suo ex mentre stava tornando a casa, dopo una serata trascorsa con gli amici. Mauro Fabbri tentò di ucciderla e venne condannato a 8 anni e 6 mesi, dopo un lungo iter giudiziario. In cella, per nulla pentito, prese accordi con un sicario, promettendogli 25mila euro, un’auto ed un trattore, affinché uccidesse Lucia, simulando una rapina finita male.

Nonostante ciò, ottenne il proscioglimento in quanto, in base al nostro Codice Penale, le intenzioni, se rimangono tali, non sono punibili. Oggi Fabbri è libero e abita a pochi chilometri dalla casa della sua ex, mentre lei vive sotto scorta, nella costante paura di essere uccisa. Martedì scorso Lucia è stata ospite di Bruno Vespa, durante la trasmissione televisiva “Porta a Porta”. La puntata ha però dato luogo ad un’ondata di polemiche senza precedenti, per via delle modalità con cui l’intervista è stata condotta.

Bruno Vespa

Più o meno consapevolmente, infatti, Vespa ha finito col riproporre tutte quelle obiezioni che la nostra società costantemente oppone nei confronti degli episodi di violenza di genere, senza però al contempo esplicitare una chiara posizione contraria. La signora Lucia è stata trattata, da quello che dovrebbe essere un simbolo del giornalismo televisivo italiano, con la sufficienza paternalistica che solitamente si elargisce ad una bimba che cade, sbucciandosi le ginocchia.

«È fortunata, perché è sopravvissuta». «Lui è innocente». «A differenza di tante donne è protetta. Di cosa ha paura?». «18 mesi sono un bel flirtino però …». E via, sempre più giù, in un abisso di frasi vergognose, ghigni e superficialità, fino ad arrivare al culmine: «se avesse voluto ucciderla l’avrebbe fatto». Uno spettacolo indecoroso quanto sintomatico di una cultura, la nostra, che tende sempre di più a vedere la donna come un mero oggetto del desiderio.

In un articolo apparso sul Financial Times nel Luglio del 2007, il corrispondente Adrian Michaels, denunciava la presenza persistente di corpi femminili nella pubblicità e nella televisione italiane. L’articolo, dall’eloquente titolo “Naked Ambition”, parla di corpi femminili inutilmente scoperti, utilizzati per intrattenere un pubblico a casa, vendere prodotti commerciali, promuovere campagne pubblicitarie di ogni genere. Il corpo come oggetto, dunque, come strumento per raggiungere un obiettivo di carattere finanziario, separato dal resto della persona e trattato come unica caratteristica in grado di rappresentarla.

Le società occidentali, in particolare, danno molta importanza alla bellezza fisica e al suo ruolo quale mezzo per ottenere importanti risultati. L’aspetto di una donna e in particolare il modo in cui gli altri lo valutano può determinare il successo legato ad esperienze lavorative e interpersonali. Di conseguenza la maggior parte delle donne pone grande attenzione alla cura del corpo, preoccupandosi a volte in maniera ossessiva del proprio aspetto fisico, di apparire cioè come la società richiede loro.

Le donne imparano a valutare se stesse prima e meglio degli altri: si guardano e si giudicano come gli altri le guarderebbero e giudicherebbero. Hanno creato i propri modelli di bellezza in base a schemi prettamente maschili, trovandosi nella posizione di non sapere più cosa piace realmente a se stesse e cosa, invece, agli altri. La costante preoccupazione di apparire può però intaccare le capacità cognitive necessarie per portare a termine tutte quelle attività in cui l’aspetto esteriore non ha nessuna importanza e che per questo vengono poste automaticamente in secondo piano.

Questo modo di auto-percepirsi rappresenta inoltre un potenziale fattore di rischio per la salute mentale e fisica, in quanto favorisce ed incrementa sensazioni di vergogna verso il proprio corpo, stati d’ansia e depressione, disordini alimentari e così via. In particolare, secondo una ricerca promossa da Dove e realizzata con Edelman Intelligence in 17 paesi europei ed extraeuropei il 75 per cento delle donne italiane dichiara di avere una media o bassa autostima.

Tra le cause più rilevanti evidenziate c’è sicuramente una pressione sociale sempre maggiore verso ideali irrealizzabili di perfezione: in Italia il 49 per cento delle ragazze sostiene di avvertire la pressione di dover essere sempre bella e più della metà pensa addirittura di non poter mai sbagliare o dimostrare debolezza.

Occorre, infine, fare un’ulteriore considerazione. La donna oggetto subisce una sorta di de-umanizzazione. Non contano più i suoi sentimenti, né la sua intelligenza. Quando percepiamo nell’altro un essere umano proviamo nei suoi confronti l’empatia che rende difficile fargli del male senza provare angoscia o rimorso. Se invece gli attribuiamo tratti inumani queste emozioni sono inibite ed è quindi più facile che si verifichino quegli episodi di violenza psicofisica di cui tutti purtroppo siamo frequentemente testimoni.

A questo proposito, è utile riportare la testimonianza di una ragazza olandese, Noa Jansma, che nel 2017 ha dato vita al progetto “Dearcatcallers” ovvero “Cari Molestatori”. Noa, infatti, ha deciso di ribellarsi al sistema sopramenzionato, evidenziando, in particolare, quanto siano frequenti i casi di molestie e maltrattamenti subiti ogni giorno dalle donne in luoghi pubblici. Per un mese intero ha dunque postato su un account Instagram i selfie con i suoi stessi molestatori, aggiungendo poi sotto ciascuna foto le frasi o i gesti che le erano stati rivolti.

L’esperimento ha dimostrato che per molti uomini rivolgere apprezzamenti anche pesanti o squadrare le donne che incrociano per strada è un comportamento normalissimo. Molti dei soggetti coinvolti, come sottolineato dalla stessa Noa, sono stati quasi lusingati di essere immortalati con lei, come se pensassero che fosse una sorta di premio, un gesto di gradimento nei loro confronti. Ancora più significativo è stato il comportamento di coloro i quali hanno commentato le fotografie in questione domandandosi cosa mai ci fosse di tanto sbagliato in un complimento rivolto ad una ragazza. Forse è davvero arrivato il momento di un deciso cambio di prospettiva.