La pazza Brexit di Boris Johnson

Di Antinea Pasta – Se questa calda estate della politica italiana può esserci sembrata caotica basta dare uno sguardo oltremanica per rendersi conto che anche il Regno Unito sembra essersi cacciato in un cul de sac, con il parlamento inglese che blocca il premier Boris Johnson all’affannosa ricerca di una Brexit entro il 31 ottobre, con o senza accordo.

Proviamo a ricostruire i fatti delle ultime settimane fino all’ultimo schiaffo di una settimana fa per Johnson, l’ultimo di una lunga serie iniziata poco prima della controversa chiusura del Parlamento per 5 settimane.

Era fine agosto quando il primo ministro, con una mossa particolarmente ardita, chiedeva alla regina la sospensione del Parlamento per ridurre al minimo la possibilità dei deputati di bloccare un’uscita dall’Unione Europea senza un accordo. La sospensione del Parlamento è una prerogativa del primo ministro a cui i parlamentari non possono opporsi ma solitamente non dura più di qualche giorno. Johnson ha chiesto una lunga sospensione dal 10 settembre al 14 ottobre, quando si terrà il discorso della regina.

Dal quel momento in poi, la situazione si è ulteriormente complicata: i deputati non l’hanno presa affatto bene e sono corsi ai ripari chiedendo la calendarizzazione urgente della proposta di legge del deputato laburista Hillary Benn, che obbliga il Governo a chiedere alla UE un’ulteriore proroga della Brexit fino al 31 gennaio 2020, nel caso in cui entro il 31 ottobre non sia stato ancora trovato un accordo definitivo per la fuoriuscita del Regno Unito.

Il 4 settembre il primo ministro, dopo essere passato in minoranza nel parlamento di Westminster, ha subito anche il voto della Camera dei Comuni contro il no deal sostenuto dalle opposizioni e da un gruppo di ribelli Tory, subito espulsi dal partito: 327 i deputati favorevoli, contrari 299. 

Ma la brutta giornata di Johnson non si è ancora conclusa: in serata, Johnson ha presentato una mozione per chiedere lo scioglimento della Camera e lo svolgimento di elezioni anticipate il 15 ottobre. Come era prevedibile, non è passata. Per essere approvata l’interpellanza avrebbe avuto bisogno della maggioranza dei due terzi e al momento, a seguito delle divisioni interne ai Tory, il governo non ha più nemmeno la maggioranza semplice.

Boris Johnson

Il 6 settembre l’Alta Corte si pronuncia sulla sospensione del Parlamento voluta dal premier britannico: è legale. La camera dei Lord approva la legge contro il no deal e arriva anche il suggello della firma della regina Elisabetta.

Ma la soap britannica sulla Brexit continua a riservare sorprese. L’ormai popolare John Bercow, speaker della Camera dei Comuni, ha annunciato l’intenzione di rinunciare all’incarico in caso di elezioni anticipate e comunque di dimettersi al più tardi il 31 ottobre e ha messo in guardia Downing Street affermando di essere pronto ad autorizzare quella che ha definito una “ulteriore creatività procedurale” pur di evitare una Brexit senza accordo con Bruxelles.

L’Alta Corte della Scozia ha decretato come illegale la sospensione del Parlamento britannico da lui decisa in queste settimane e lo ha accusato di aver mentito alla regina nel suo ‘advice‘ per ottenere il consenso (il Royal Assent) sul provvedimento: accuse decisamente respinte dal premier Tory. Ora – ha aggiunto il primo ministro – «dovrà essere la Corte Suprema (del Regno) a decidere».

A mettere altra benzina sul fuoco anche l’ex primo ministro David Cameron: «su Brexit ho fallito» ha ammesso e ha attaccato Johnson e il suo alleato Michael Gove, i quali prima del referendum non si erano mai espressi per l’uscita dall’Unione Europea. L’accusa di Cameron è che i due abbiano poi approfittato dell’esito del referendum per un calcolo politico dopo aver «picconato il governo di cui facevano parte, a tutti gli effetti».

In questo clima incandescente Boris Johnson continua a perdere pezzi e resta sotto attacco su più fronti ma guadagna consenso elettorale in un paese stanco delle tensioni provocate dalla Brexit e lacerato dai contrasti politici. Insomma, c’è da scommettere che i colpi di scena di questa tormentata fase del regno Unito non siano ancora finiti.