In morte delle librerie

Di Beatrice Raffagnino – Dopo 19 anni la Libreria Broadway delle sorelle Onorato rischia di chiudere i battenti. L’annuncio, apparso sui social la scorsa settimana, ha scatenato un’ondata di commozione, indignazione e solidarietà generale.

Molteplici sono state, infatti, le manifestazioni d’affetto dei clienti così come pure le iniziative, promosse a sostegno dell’attività, da attori, musicisti e cantanti, da sempre i veri padroni di casa della libreria. Pur colpite dalla calorosa vicinanza della città le sorelle continuano, tuttavia, a vedere davanti a loro un futuro molto (troppo) incerto.

Resta, infatti, sullo sfondo l’onnipresente crisi di un settore, quello del libro, che, dovendo fare i conti con vincoli e ostacoli di varia natura, oltre che col rapido mutare della coscienza sociale, va mietendo vittime da un capo all’altro della Penisola in una crudele quanto silente scia di carta ed inchiostro che investe specialmente le piccole librerie indipendenti. Queste ultime, come sottolineato dalla stessa Simona Onorato, non vanno considerate tanto come negozi puri e semplici ma piuttosto alla stregua di veri e propri luoghi di incontro.

Piccole oasi felici che sfuggono al caos della vita quotidiana e, interrompendo il nostro frenetico correre fra un impegno e l’altro, riescono ancora a regalarci quegli intervalli di preziosa riflessione di cui tutti indistintamente abbiamo un disperato bisogno. Insomma un volano di crescita sociale, prima ancora che economica, riconosciuto ampiamente in molti Stati d’Europa, come ad esempio in Francia, dove, recentemente, il Ministero della Cultura ha incluso “le tradizioni e le competenze dei librai di Parigi” all’interno del patrimonio culturale immateriale del Paese, sostenendo che «le loro capacità incrementano qualità personali, di curiosità intellettuale e gusto per la condivisione».

In Italia, invece, la situazione appare, purtroppo, capovolta. Dove rintracciare i colpevoli? Tra i primi sospettati si collocano le grandi catene, come Mondadori e Feltrinelli che negli anni Novanta sono entrate a gamba tesa nel mercato. Si tratta, infatti, di editori che, unico caso in Europa, i libri li pubblicano, li vendono e li distribuiscono, saltando a piè pari la mediazione dei librai.

I numeri parlano chiaro: tra il 2010 e il 2016 le librerie a conduzione familiare in Italia sono passate da 1115 a 811. Mentre quelle che fanno parte di grandi gruppi sono aumentate da 786 a 1.052. E tuttavia prendersela esclusivamente con tali soggetti sarebbe riduttivo specialmente considerando la loro scarsa predisposizione nel soddisfare i bisogni di socializzazione e identificazione del singolo. Si potrebbe allora passare al secondo indiziato: Amazon. Più di un libro su cinque è stato, infatti, venduto online nel 2018. Inoltre bisogna considerare che l’azienda statunitense non ha dovuto pagare un solo dollaro di tasse, approfittando della riforma fiscale voluta da Donald Trump, mentre, in Italia, gli editori le tasse le pagano eccome.

Inoltre, le librerie si lamentano del fatto che, in Germania e in Francia, i governi limitano gli sconti, applicati da Amazon, mentre, in Italia, l’azienda può farne quasi senza limiti. A ciò si aggiunga un terzo indiziato: il drammatico calo dei lettori, conseguenza indiretta del diffondersi dei social. Crescendo nell’errata consapevolezza che tutto ciò che serve sapere si possa trovare su internet o comunque all’interno di una pagina Facebook, viene lentamente meno, soprattutto tra i più giovani ogni traccia di curiosità.

Se possiamo contare su una conoscenza portatile e globale a cosa serve raggiungere una libreria e comprare un libro? Sembra una perdita di tempo. Così cambiano i lettori e in effetti i dati sono drammatici. Per citarne due: in Italia il 32,3 per cento dei laureati non legge nessun libro. E siamo all’ultimo posto in Europa sulle competenze di comprensione dei testi e di lettura, secondo l’ultimo rapporto dell’Aie (Associazione Italiana editori).

Consideriamo, poi, un altro fattore. Nel 1980 le novità in libreria erano 13mila. Nel 2016, con lo stesso numero di lettori, 66mila. Significa che i libri scompaiono dagli scaffali dopo due mesi, che le vendite medie per volume sono bassissime, e che è enorme il numero dei testi mandati al macero. Un’economia drogata dove il piccolo libraio è costretto a indebitarsi per anticipare l’acquisto delle copie e gli editori sono costretti a stampare per stare al passo con la concorrenza e con le regole della grande distribuzione.

Infine c’è un ultimo indiziato: lo sconto. In Italia, il 27 luglio del 2011, è stata adottata la cosiddetta Legge Levi sulla “Nuova disciplina del prezzo dei libri”. Quest’ultima prevede che non si possono applicare ai libri sconti superiori al 15% del prezzo di copertina. Soltanto in occasioni di speciali “campagne promozionali”, da effettuarsi per un periodo non superiore a un mese e comunque mai a dicembre, gli sconti possono arrivare al 20 per cento: ma in quelle occasioni, se vogliono, i librai possono sottrarsi all’applicazione degli sconti.

Ricorrenti sono stati, però, i casi di raggiri da parte degli editori o della grande distribuzione a detrimento dei piccoli librai. Antonio Terzi, Vicepresidente del Sindacato Librai italiani, ha spiegato, in particolare, che è diventata pratica di quasi tutti i marchi editoriali l’escamotage di offrire pacchi da due libri con la formula “2 al prezzo di uno” (ovvero 50% di sconto) generando un isbn a sé per questi kit in offerta, come se fossero un solo libro nuovo. Ulteriormente frequente è l’aggiramento tramite buono sconto sui testi scolastici da parte della GDO, con punte arrivate quest’anno al 35%. Occorrerebbe al più presto un nuovo intervento legislativo.