Eurozona: il lato oscuro della crescita

Di Vincenzo MignanoPer il settimo anno consecutivo, l’economia europea ha registrato una fase di crescita che ha contribuito ad un’ulteriore riduzione – seppur minima e con alcune riserve – degli effetti della Grande Recessione e della crisi dei debiti sovrani. Secondo quanto riportato nelle Previsioni economiche di estate 2019, pubblicate dalla Commissione europea lo scorso 10 luglio, il parziale rafforzamento delle economie dei Paesi dell’Eurozona – verificatosi nel primo trimestre dell’anno – è stato ridimensionato dal carattere temporaneo dei fattori che hanno contribuito alla sua realizzazione, come le «misure di politica di bilancio che hanno aumentato il reddito disponibile delle famiglie».

Tale contesto è stato ulteriormente aggravato dalla sussistenza di elementi esterni – quali tensioni commerciali a livello mondiale e incertezze politiche – che hanno esercitato una notevole influenza negativa sulla fiducia degli investitori e nel settore manifatturiero. Dal quadro delineato dalla Commissione europea e sulla base dei fattori analizzati, non è stata prevista alcuna variazione per le previsioni di crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) della zona euro: nello specifico, quelle per il 2019 «restano invariate all’1,2%, mentre quelle per il 2020 sono state leggermente riviste al ribasso, all’1,4%, a seguito del ritmo più moderato della crescita previsto per il resto di quest’anno (previsioni di primavera: 1,5%). Le previsioni sul PIL dell’UE restano invariate all’1,4% nel 2019 e all’1,6% nel 2020».

Una conferma del panorama che caratterizza l’attuale assetto dell’Eurozona è stata fornita dalle dichiarazioni rilasciate dal Vicepresidente per l’Euro e il dialogo sociale, responsabile anche per la Stabilità finanziaria, i servizi finanziari e l’Unione dei mercati dei capitali, Valdis Dombrovskis, così come dal Commissario per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane, Pierre Moscovici.

Valdis Dombrovskis

Il primo ha sottolineato la controtendenza dell’economia tedesca e di quella italiana rispetto alla «crescita di tutte le economie dell’UE nell’anno in corso e nel prossimo», sottintendendo l’incidenza che le politiche di austerità – unite alla rigida condizionalità economica che ha caratterizzato i finanziamenti, tramite strumenti di diritto internazionale, in favore degli Stati membri dell’Unione Europea in crisi, all’interno del mercato unico europeo – hanno avuto sulle economie storicamente più forti della zona euro. Sotto altro profilo, invece, Pierre Moscovici ha messo in luce la costante crescita dell’economia europea, sostenuta da «un forte mercato del lavoro che sostiene la domanda», nonostante il difficile contesto mondiale che produce degli effetti negativi nel contesto economico comunitario.

Simili a quelle riportate dalla Commissione europea sono le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI), secondo cui «il Pil dell’Eurozona è visto espandersi quest’anno dell’1,3% e il prossimo dell’1,6% (lo 0,1% in piu’ sulle stime primaverili)», con il prodotto interno lordo mondiale che – si prevede – subirà un innalzamento del 3,2% a fine 2019 e del 3,5% nel 2020. Sulla scorta di tali dati, l’istituto ha precisato come i rischi siano al ribasso e includano «ulteriori tensioni commerciali e sul fronte tecnologico, in grado di minare la fiducia e rallentare gli investimenti».

Sebbene, quindi, le previsioni della Commissione europea siano di segno positivo, non si può prescindere dalle indicazioni che esse forniscono circa le minacce e le sfide che l’Eurozona, nello specifico, e l’Unione Europea, in generale, sono chiamate a fronteggiare. Il rallentamento della crescita che si è verificato nel corso degli ultimi anni – come attestato dai diversi documenti di previsione economica pubblicati periodicamente dalla Commissione – ha messo in luce l’esigenza di un assetto economico-monetario improntato su una maggiore flessibilità e solidarietà finanziaria, volto a realizzare un rinnovamento nella continuità.

Di tale avviso è stato il futuro Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Christine Lagarde, la quale ha evidenziato la necessità che la politica monetaria rimanga «molto accomodante in un avvenire prevedibile». Sotto tale aspetto, il futuro governatore ha dichiarato, ponendosi in linea con l’operato del suo predecessore, Mario Draghi, che «la BCE ha una ricca cassetta degli attrezzi a sua disposizione e deve essere pronta ad agire».

In conclusione, le stime fornite dalla Commissione europea dimostrano come l’economia dell’Eurozona, seppur in continua crescita, necessiti di nuovi stimoli monetari per invertire la tendenza al rallentamento verificatasi negli ultimi anni. La debole inflazione tedesca di agosto sembrerebbe esser stata, in tal senso, l’ultima prova di come il mercato unico richieda maggior coraggio agli Stati membri, proponendo l’abbandono delle logiche contabili dei creditori-debitori a favore di politiche finanziarie volte a ridurre il divario economico all’interno dell’area euro.