Desaparecidos di tutto il mondo, quei silenzi “forzati”

Di Sara Sucato – Maria Asuncion, Alfredo Moyano, Hector Lopez, Gaston Dillon, Giulio Regeni. Pochi nomi, per lo più sconosciuti, ricordati – tra diverse centinaia di migliaia – il 30 agosto scorso, in occasione della Giornata Internazionale delle vittime di sparizioni forzate, i cosiddetti desaparecidos.

Il fenomeno delle sparizioni forzate viene ricollegato principalmente alla dittatura militare argentina, al potere dal 1976 per i seguenti sette anni. In questo periodo, si ritiene che – su 40.000 vittime totali – i soggetti scomparsi nel silenzio siano stati circa 30.000, di cui solo 9.000 accertati. Per quanto poco se ne parli sui canali ufficiali di comunicazione, il numero dei desaparecidos rimane alto ancora oggi e la sparizione forzata viene usata come mezzo di repressione del dissenso – anche in maniera preventiva – durante i conflitti o in territori in cui vigono regimi dispotici.

Familiari di “desaparecidos” in Cile

Data l’attualità del fenomeno, il 29 giugno 2006, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato il progetto di una Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata. La Convenzione è stata firmata da 97 Stati membri e ratificata da 58, entrando in vigore nel dicembre 2010. Obiettivo del Consiglio, è stato non solo quello di dare una definizione precisa di “sparizione forzata” ma anche di fornire gli strumenti necessari per combattere ed arginare il fenomeno.

In base all’articolo 2 della Convenzione: «sono considerati ‘sparizione forzata’ l’arresto, la detenzione, il sequestro e qualunque altra forma di privazione della libertà da parte di agenti dello Stato o di persone o gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, il sostegno o l’acquiescenza dello Stato», cui faccia seguito il silenzio riguardo la sorte o il luogo di detenzione della persona scomparsa, tale da non permettere la tutela garantita dal diritto. Attraverso la stessa risoluzione che diede vita alla Convenzione, venne stabilito il 30 agosto quale Giornata Internazionale delle vittime di sparizioni forzate dal 2011.

Secondo un recente rapporto di Amnesty International, oggi questo tipo di crimine non è più prerogativa dei regimi dittatoriali ma ha visto una rapida diffusione in diversi contesti caratterizzati da conflitti interni o in un clima di repressione politica.

Perché si fa ricorso alla sparizione forzata? Da questo punto di vista, non differisce da altre tecniche di persecuzione – caratterizzate dall’immediatezza della violenza fisica – il cui unico obiettivo è seminare paura e insicurezza, portando i familiari delle vittime non solo a non esprimere dissenso nei confronti del governo ma anche a non denunciare la sparizione, in quanto i desaparecidos potrebbero essere torturati o uccisi. La pratica è connotata anche da una forma di violenza psicologica, la totale assenza di notizie in merito alla sorte delle persone scomparse porta i parenti e gli amici più prossimi a vivere in un costante stato di angoscia e preoccupazione, per il quale spesso non c’è soluzione.

Per contrastare il crimine, l’articolo 26 della suddetta Convenzione ha dato vita al Comitato sulle sparizioni forzate (CED, Committee on Enforced Disappearment), il quale si occupa di esaminare i rapporti provenienti dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione e formulare le conseguenti raccomandazioni o osservazioni. Tuttavia, queste non possono essere considerate vincolanti, mantenendo il carattere di suggerimenti; difficilmente messi in pratica all’interno di regimi che hanno fatto della violenza fisica e psicologica uno degli strumenti più usati per imprimere il proprio potere. Il crimine si è diffuso in diverse parti del globo, dalla Siria al Pakistan, dall’Egitto alla Bosnia, al Marocco.

Oggi, come allora, i soggetti più colpiti sono i difensori dei diritti umani, studenti, attivisti politici e manifestanti che si impegnano in prima persona per l’abbattimento e il contrasto dei regimi oppressivi. Le risposte della popolazione civile non si sono fatte attendere. L’esempio più noto è rappresentato dalla nascita dell’associazione Madri di Plaza De Mayo, formata dalle madri dei dissidenti desaparecidos, scomparsi in Argentina tra il 1976 e il 1983.

Le Madres chiedono verità e giustizia per i loro figli scomparsi e, con il supporto di organizzazioni come Amnesty, lottano perché venga riconosciuto il reato di sparizione forzata, commesso sia da agenti dello Stato sia da attori non statali, e venga abolita qualsiasi forma di impunità o amnistia nei confronti di chi si sia macchiato di tale crimine.