“Io Robot” e lavoro

Di Ugo Lombardo – Sempre più si sta configurando quella che potremmo definire una nuova rivoluzione industriale, caratterizzata dal ruolo che l’Intelligenza Artificiale (I.A.) acquisisce nei processi operativi delle aziende. Secondo il rapporto Future of Work dell’IDC, infatti, l’I.A. assumerà un ruolo centrale nelle aziende e la quota principale della forza lavoro sarà rappresentata dai millennials, la prima generazione digitale insieme alla Z generation.

Secondo lo studio, inoltre, il 60% delle aziende Global 2000 tra quelle più quotate al mondo sta sperimentando il cosiddetto Future WorkSpace, un nuovo concetto di spazio di lavoro “in grado di migliorare l’esperienza e la produttività dei dipendenti attraverso un ambiente fisico e virtuale più flessibile, intelligente e collaborativo”. Alla base di questo nuovo spazio di lavoro c’è l’idea per cui il lavoro non sarà statico con orari prestabiliti, ma “ovunque, in qualsiasi momento, su ogni device”: incline, insomma, alle nuove esigenze dei millennials e dei nativi digitali.

In sostanza, prende sempre più campo e forma il concetto di Smart working che, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, è “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

In base a questo concetto, il luogo dell’ufficio si sposterà ovunque, per mezzo del lavoro in remoto, e il ruolo dell’intelligenza artificiale sarà determinante. Infatti, secondo il rapporto, nonostante le tecnologie I.A. siano per lo più utilizzate per ottimizzare il consumo di risorse sul posto di lavoro (luci, aria condizionata ecc.), nuovi strumenti intelligenti come risponditori predittivi, UI vocali o sistemi di videoconferenza automatizzati “aiuteranno i dipendenti a diventare più produttivi nel giro di pochi anni.

Oltre a questo, l’intelligenza artificiale costringerà le aziende anche a cambiare il modo di reclutare e “misurare” i propri dipendenti. Secondo il rapporto, infatti, entro il 2022 il 35% delle aziende sostituirà i tradizionali e datati Key Performance Indicators (KPI) con i Key Behavioral Indicators (KBI) per misurare la collaborazione, la comunicazione, la capacità di risolvere i problemi, i risultati e gli obiettivi del proprio personale.

Le metriche legate alla produttività saranno “affiancate da metriche più moderne che una volta sarebbero state considerate pure “soft skills” (cioè non misurabili quindi meno importanti), ma che oggi sono ritenute essenziali per raggiungere quei livelli di produttività necessari per soddisfare le richieste dei clienti”.

Una recente ricerca di LinkedIn (Global recruiting trends) su 9mila professionisti e manager in ambito HR ha evidenziato che, a livello mondiale, tra i maggiori vantaggi dell’I.A. applicata al recruiting c’è il risparmio di tempo (per il 67% del campione) e di risorse economiche (per il 30%). Per una percentuale significativa (il 31%), inoltre, l’intelligenza artificiale permette una migliore efficienza del processo di selezione.

Per quanto riguarda l’Italia, i risultati sembrano in parte analoghi. I vantaggi che derivano dall’utilizzo dei sistemi “intelligenti” nei processi di selezione – secondo la survey AIDP – sono principalmente la velocizzazione dei processi di reclutamento e selezione, per il 60%, e il risparmio di tempo per il 58%. Per percentuali significative, tuttavia, i vantaggi tangibili riguardano anche la qualità del processo di selezione.

Concludendo, l’I.A. e la rivoluzione tecnologica stanno sempre più influenzando il mondo del lavoro per come fino ad ora è stato inteso, con impatti significativi sull’occupazione. Si possono, infatti, identificare tre macro-livelli – intorno ai quali si sviluppano gli effetti della tecnologia – individuati dallo studio del Sistema informativo Excelsior sulla “Previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2018-2022)”. È necessario sviluppare un sistema di matching tra nuove competenze e l’evoluzione del mercato del lavoro. Nello specifico si individuano:

– un primo livello, relativo alla trasformazione dei lavori esistenti, in cui molte mansioni cambieranno, diventando probabilmente più complesse e richiedendo competenze più elevate e sofisticate; l’indagine Excelsior consente di cogliere alcuni significativi mutamenti ed un esempio è quello dell’addetto inserimento dati, per cui le imprese richiedono, nel 12% dei casi, personale laureato;

– un secondo livello, costituito dalla creazione di nuovi posti di lavoro intesi come nuove professioni associate all’utilizzo dei big data, alla cybersecurity, o ai social media;

– un terzo livello, legato, invece, alla potenziale distruzione di posti di lavoro.

Quest’ultimo è un tema che risulta essere al centro del dibattito politico, poiché fonte di preoccupazioni alimentate da stime talvolta piuttosto allarmistiche. Il rischio di aumento del livello di disoccupazione, tuttavia, non preoccuperebbe se l’incertezza fosse accompagnata dal rimodellamento delle competenze dei soggetti coinvolti, i quali potrebbero essere reinseriti nei nuovi lavori che si stanno configurando.


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