Muore Morsi: è il tramonto dei Fratelli Musulmani?

Di Antinea Pasta – Lo scorso 17 giugno la notizia della morte di Mohamed Morsi fa il giro del mondo. L’ ex presidente egiziano è deceduto per un arresto cardiaco nel corso di un’udienza in tribunale mentre si difendeva in uno dei tanti processi che lo vedevano imputato con l’accusa di spionaggio ai danni dell’Egitto. Morsi era detenuto dal 2013 a seguito della sua deposizione manu militari che portò al potere Abdel Fattah al Sisi e scontava una pena di 20 anni di carcere per uno dei diversi capi d’accusa per cui era stato imprigionato.

Ex leader della Fratellanza Musulmana è stato sepolto con una cerimonia privata a cui hanno potuto partecipare solo i familiari e già subito dopo l’annuncio della morte il governo del Cairo aveva decretato lo stato di massima allerta per timore che la sua morte potesse fomentare nuove rivolte da parte dei Fratelli Musulmani che parlano di “omicidio perfetto” da parte del regime di Al Sisi denunciando le precarie condizioni di detenzione di Morsi.

Morsi, che nel corso del suo brevissimo governo aveva commesso errori che hanno in fretta logorato il suo potere, rischia di diventare dopo la sua morte il simbolo della repressione perpetrata dall’attuale governo. Ingegnere chimico, specializzazione conseguita in California, Morsi rientra in Egitto nella seconda metà degli anni 80, partecipa attivamente alla vita politica egiziana diventando uno dei dirigenti dei Fratelli Musulmani, nel periodo in cui, nonostante ufficialmente ancora messa al bando, la Fratellanza era ufficiosamente tollerata dal regime Hosni Mubarak.

La vera svolta arriva però nel 2011, con le rivolte di piazza Tahrir, quando – in Egitto così come in altri paesi del mondo arabo – il vento delle cosiddette primavere arabe, sembrava potesse soffiare forte e spazzare i regimi militari che da decenni opprimevano i popoli del nord Africa. I Fratelli Musulmani avevano partecipato alla destituzione di Mubarak, tanto che, nel giugno del 2012, Morsi vinse le prime elezioni libere con il 51% dei voti contro il 48% di Ahmed Shafiq, ex primo ministro di Mubarak.  

Il neo presidente, benché rappresentasse una seconda scelta a causa dell’incandidabilità del vero leader Khayrat al-Shater, inizialmente sembrò riscuotere successo e ottenne la fiducia del popolo che sperava di un’evoluzione democratica dell’Egitto.

L’inclusione delle forse laiche, nazionaliste e socialiste, i rapporti distesi con gli Stati Uniti e con Israele sembravano aver parzialmente accantonato le perplessità internazionali nel sostegno a un regime chiaramente ispirato ai rigidi dettami morali religiosi dell’Islam. Morsi, incoraggiato dai successi iniziali puntò subito sulla riforma costituzionale, attribuendosi maggiori poteri e riscrivendo una nuova carta istituzionale di stampo islamista.

Ma nel giugno del 2013 il malcontento popolare per le condizioni economiche in cui versava il paese, per le scelte impopolari circa alcune nomine effettuate dal governo e l’esclusione delle opposizioni, sfociò in una rivolta popolare, sostenuta dai militari, che travolse Morsi fino alla sua destituzione nel luglio dello stesso anno e che portò al potere Al Sisi.

Dal decesso dell’ex presidente egiziano il governo del Cairo ha alzato ulteriormente il livello dei controlli per timori di proteste e manifestazioni da parte della Fratellanza Musulmana che però vive una fase particolarmente complessa. Il movimento che aveva addirittura espresso il primo presidente eletto della storia dell’Egitto vive una fase di profonda  crisi, che ha alla base diverse cause.

Oltre agli errori commessi da Morsi durante la sua leadership, il movimento non ha alla guida delle figure particolarmente forti in grado di ricompattare la Fratellanza. Del resto, la violenta repressione di Al Sisi ha portato alla fuga in altri paesi dei principali esponenti o alla loro carcerazione. Il risultato è stato che i modelli di riferimento sono diventati altri leader, non nazionali, del mondo islamico, primo tra tutti Recep Tayyip Erdoğan.  Il presidente turco, infatti, ha offerto ospitalità a numerosi membri della Fratellanza permettendo la sopravvivenza del movimento.

Il voto di ieri che ha confermato la vittoria a sindaco di Istanbul di  Ekrem Imamoğlu, segna un duro colpo per Erdogan.  L’elezione di Imamoglu, esponente dell’opposizione laica, vede aprire squarci nel sistema di potere del leader turco, a favore di sempre crescenti spinte democratiche che potrebbero cambiare il corso storico della Turchia. Tutto ciò chiaramente potrebbe ulteriormente indebolire la Fratellanza, che assisterebbe così al declino del suo principale sponsor.


Foto in copertina Hassan Ammar/AP Aftenposten Innsikt

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