Woodstock ’69, festival dell’incredibile

Di Daniele Monteleone – Il 15 Agosto 1969 è diventata la data di una leggenda. In quel giorno di cinquant’anni fa iniziava quello che sarebbe diventato il festival di musica più famoso di tutti i tempi. Woodstock: «three days of peace & rock music», resterà un evento interessante non solo per la “densità musicale” di alta qualità, ma per la sua cornice: una folla assetata di amore e libertà.

Una visione che ha del mitico. Quei tre giorni di pace e musica non hanno portato sul palco solo grandi artisti internazionali – alcuni considerati oggi alla stregua di vere e proprie divinità – ma anche attivismo politico, l’urlo della gioventù degli anni sessanta e, insieme a questo grande coinvolgimento, anche pioggia e tanto tanto fango. Woodstock ‘69 è così divenuto il baluardo di un popolo che chiede e manifesta cantando, non solo sesso, pace e amore sotto il palco, ma anche diritti in piazza.

Sono tanti i fatti che infiammano gli Stati Uniti in quegli anni. Le manifestazioni studentesche di Berkeley. Il pugno di ferro del presidente Nixon e la pretesa del servizio militare obbligatorio per i diciannovenni. La guerra in Vietnam, una ferita, una vergogna che resterà per sempre nei frammenti dei cuori distrutti degli Americani.

Certo, sono anche gli anni dell’esplorazione dello spazio, dello sbarco sulla Luna, dello scontro tra le ideologie e dei due blocchi – occidentale e sovietico – che continueranno per decenni a combattersi senza distruggersi. La nuova generazione è però quella della contestazione, del pacifismo e della nonviolenza. Una forza inarrestabile che farà muro contro un mondo militarizzato e ancora troppo oppressivo.

Arrivano così i giovani hippie e le chitarre elettriche, glibassoli spettacolari di Jimi Hendrix e gli acuti sconvolgenti di Janis Joplin. Una risposta collettiva e “fricchettona”: l’abuso di sostanze stupefacenti, aiutato da una commercializzazione sfrenata di droghe dalle proprietà più o meno allucinogene.

La risposta organizzata, quella decisiva, fu di Michael Lang e Artie Kornfield, due giovanotti in cerca di fondi per uno studio di registrazione. Quando incontrarono John Roberts e Joel Rosenmann – questi invece senza idee ma con tanto denaro – fu l’inizio di qualcosa di straordinario. Al caos, alle ideologie, alla violenza, agli scontri, si rispose con il più grande festival di tutti i tempi.

118913_Woodstock_derek_redmond_paul_campbell_30.64f55be7

I 600 acri di terra in quel di Bethel, White Lake, nello stato di New York sono il luogo prescelto. Il terreno verrà ben presto invaso da un’orda di hippie, di ragazzi felici, di appassionati di musica rock, di pacifisti innamorati della vita (e dell’amore libero, delle droghe e della nudità). Le esibizioni per quella folla di 400 mila persone videro i già citati Janis Joplin e Jimi Hendrix, e altri grandi come Carlos Santana, Creedence Clearwater Revival, The Who, Jefferson Airplaine e Joe Cocker. Sono solamente alcuni nomi di una scaletta ricchissima e di grande impatto per i tempi – e, a leggerla, ancora oggi.

woodstock.2.jpg

Il numero incredibile di partecipanti, totalmente inatteso proprio per la natura “provinciale” che l’evento ambiva ad assumere, provocò un traffico massiccio che paralizzò a lungo la circolazione sulle autostrade limitrofe alla località di Bethel.

Ci sono andati davvero in tanti, ma a pesare sono state le assenze eccellenti che ad oggi ci sembrano impossibili: fra tutti spiccano i nomi di John Lennon e i Beatles – in procinto di sciogliersi – che non arriveranno a Woodstock a causa di un mancato accordo per l’esibizione di Yoko Ono con la Plastic One Band, non gradita dagli stessi organizzatori perché non all’altezza del cartellone del festival. I Led Zeppelin invece rifiutarono l’invito per non rimanere in mezzo alla scaletta come «una band qualsiasi», mentre i Doors dovettero rinunciare a causa dei guai con la legge e dei problemi con la droga del leader, Jim Morrison

Swami_opening

Cerimonia swami all’apertura di Woodstock

Ma gli eventi che hanno dell’incredibile non sono solo quelli che hanno come protagonisti i grandi della musica rock. Nel corso della tre giorni non stop, furono due i morti e due le nascite. Proprio così: sembra che a morire furono un ragazzo, con grande probabilità a causa di un’overdose di eroina, e un altro sfortunatamente schiacciato da un trattore mentre dormiva in un sacco a pelo. Ma si parla anche di una nascita in elicottero, il mezzo divenuto quasi l’unico utilizzabile per raggiungere l’area rurale che accoglieva l’evento, e di un altro bimbo nato in una macchina ferma in una di quelle infinite code per arrivare a Bethel.

Non tutti comunque sono d’accordo sulla celebrazione di questo evento come un’occasione indimenticabile di attivismo giovanile. Viene invece ricordato come «un covo di strafatti», come tentò di descriverlo il New York Times, e una situazione assolutamente fuori controllo.

È stato già sottolineato come le droghe e l’età dei partecipanti abbiano nettamente influito sullo svolgimento della manifestazione, ma si è anche detto quanto importante sia stato Woodstock per la sua cornice, per il momento in cui questo covo ha avuto risonanza. Una località rurale, fangosa e lontana dalla metropoli che come un pifferaio magico è riuscita ad attirare a sé l’amore per la musica, la voglia di stare insieme e di urlare il desiderio di emancipazione di cui un’intera generazione aveva maturato il bisogno. Perché per drogarsi c’era casa propria.

Non solo psichedelia e allucinazioni, dunque: Woodstock era la voglia di cambiare le cose, la voglia di cambiare il mondo.


2 commenti

I commenti sono chiusi