L’inferno di Columbine, e non solo

Di Silvia Scalisi – Quella mattina del 20 aprile del 1999 gli alunni della Columbine High School si erano alzati come ogni giorno per andare a scuola, ignari di quello che sarebbe loro accaduto: del resto, a 17 anni (come a 14, a 15, a 16…) il pensiero di andare a scuola e vedere alcuni tuoi compagni che ti sparano addosso, non può neanche sfiorarti. E invece, come spesso accade, la realtà riesce a essere atroce, crudele, spietata, più di quanto si possa immaginare.

La mattina del 20 aprile 1999 probabilmente splendeva il sole a Littleton, non lontano da Denver, nel Colorado. Una mattina come tante, solite, anonime, destinata a diventare un inferno. Cosa sia scattato nella mente di due ragazzi apparentemente normali, Eric Harris e Dylan Klebold, quella mattina di aprile di 20 anni fa, non è dato sapere.

Ciò che sappiamo è che quella mattina 12 studenti e un insegnante sono entrati a scuola, e non ne sono più usciti; altri 24 studenti sono rimasti feriti; tutti hanno subito un trauma che li ha segnati per sempre.

ColumbineUna furia inaudita ha accompagnato un piano studiato nei minimi dettagli: bombe posizionate in punti strategici per creare diversivi, ordigni esplosivi costruiti appositamente dai due ragazzi (furono in totale 99) per generare confusione e aumentare il numero delle vittime. Ma soprattutto armi da fuoco: un fucile a pompa, un fucile semi automatico, una pistola semi automatica, un fucile a canne mozze. Centinaia i colpi esplosi, non solo per uccidere, ma anche così, semplicemente per il gusto di sentire gli spari.

Per sentire un senso di onnipotenza, forse: quello che si prova nel sapere di avere in pugno la vita delle persone. Tu vivi, tu muori: così, senza un perché, a caso, senza un motivo.

«Stiamo solo uccidendo gente», «Comincerò a sparare comunque!», «Stiamo per uccidere chiunque si trovi qui»: sono solo alcune delle agghiaccianti frasi pronunciate da Eric e Dylan che manifestano un totale disprezzo della vita umana in una follia omicida senza precedenti.

bullismoDepressione, disturbi mentali, probabilmente bullismo perpetrato nei loro confronti, odio silente che cresce di giorno in giorno e si manifesta su internet, nei blog, nei diari. Eric e Dylan avevano palesato più volte il loro disagio con frasi che inneggiavano alla violenza, all’odio, in una spirale di negatività che nessuno si aspettava arrivasse sino alle conseguenze più estreme.

Ma l’America non ha conosciuto solo l’inferno di Columbine. Negli anni successivi altre stragi si sono perpetrate tra le mura scolastiche, ad opera proprio degli studenti stessi: nel 2007 Seung Hui-Cho, studente di 23 anni, apre il fuoco all’interno del campus della Virginia, uccidendo 32 persone tra studenti, professori e impiegati; nel 2012 a Sandy Hook, borgo della città di Newtown in Connecticut, lo studente ventenne Adam Lanza apre il fuoco all’interno della scuola elementare provocando la morte di 20 bambini (tra i 6 e i 7 anni) e altre 7 persone; in ultimo, nel febbraio dello scorso anno, la strage della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida, dove Nicholas Cruz ha ucciso 17 persone.

Troppi gli interrogativi, le domande, che nascono a seguito di questi tragici eventi. Poche, quasi inesistenti, le risposte che si riesce a trovare. L’amarezza di non essersi accorti in tempo del disagio di questi ragazzi, di non averli saputi aiutare; l’impotenza successiva di fronte a delle morti che si potevano evitare; la troppa facilità nel reperire armi, anche da parte di minorenni; un odio incontrollato verso i propri coetanei, e non solo, generato da intolleranza, razzismo, che si diffonde come un virus e genera schegge impazzite.

Probabilmente è difficile, forse impossibile, spiegare e soprattutto sforzarsi di capire cosa possa causare tutto questo. Potremmo stare ore a chiedercelo, senza risultati. Ciò che resta è la tragica constatazione che si muore in quelle mura dove si dovrebbe soltanto studiare, crescere; mura che dovrebbero proteggere, e invece diventano gabbie di morte.