Il Britannic e il destino delle navi ospedale

Di Giusy Granà – Come ben si sa, la Prima Guerra mondiale è stato uno dei conflitti più sanguinosi della storia umana. Tante vite umane sono andate perse, ma se alcune di queste sono state salvate è anche merito dell’operato delle navi ospedale, meglio note come navi bianche per via del loro colore.

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La poppa della nave in fase di costruzione

Attaccare navi ospedale è considerato crimine di guerra, secondo la prima Convenzione di Ginevra del 1864 e le Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907, le quali stabiliscono delle regole universali per la protezione delle vittime nei conflitti in tempi di guerra, così come prevedono una tutela per le navi che trasportano passeggeri feriti, a condizione che queste siano riconoscibili e illuminate di notte, pronte a soccorrere feriti di tutte le nazionalità e non impiegate per alcuno scopo militare.

Per mezzo di queste Convenzioni viene così sancito il concetto moderno di nave ospedale protetta. Se le navi rispettavano queste regole potevano considerarsi al sicuro; al contrario, il venire meno ad una delle limitazioni di cui prima, rendeva legittimo ogni possibile attacco.

Ciò è vero in parte, dato che non sono poche le navi saltate letteralmente in aria per mano dei tedeschi. Questi ultimi ritenevano che le navi inglesi fossero pericolose, fortemente convinti che queste trasportassero armi, munizioni e truppe da usare per futuri attacchi. Così i tedeschi, che non avevano interesse a colpire piccole imbarcazioni, usavano i sottomarini per rilasciare mine sui fondali pronte ad esplodere al passaggio di grandi navi come quelle da guerra e ospedale. L’obiettivo era quello di arrecare il maggior danno possibile.

Come nave ospedale per la Royal Navy fu utilizzato il transatlantico HMHS Britannic: 48.158 tonnellate e lunga 275 metri, nave gemella dell’Olympic e del Titanic, tutte costruite dall’azienda White Star Line.

Dopo il disastro del Titanic avvenuto nel 1912, i lavori per la costruzione della gemella furono interrotti e il nome che era stato scelto inizialmente, Gigantic, fu cambiato nella speranza che Britannic portasse più fortuna. La White Star sino a quel momento non aveva visto vento favorevole, in quanto anche l’Olympic – nonostante fosse stata molto utilizzata – venne infine rottamata in seguito ad una collisione con un’altra nave.

In seguito, per soccorrere i feriti di Gallipoli in Turchia, fu necessario utilizzare l’incompleta Britannic come nave ospedale per via dei suoi ampi spazi, rimasti tali a seguito dell’interruzione della costruzione di cabine passeggeri. Data la precedente esperienza, la Britannic aveva il doppio delle scialuppe di salvataggio e uno staff medico costituito da oltre 400 persone.

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Il 21 novembre del 1916 la nave urtò una mina tedesca che si trovava sui fondali del mar Egeo, a largo dell’isola greca di Kea, dove si trova ancora oggi a 120 metri di profondità.

L’esplosione fece affondare la nave in 55 minuti, come testimoniato da Violet Jessop, sopravvissuta a tre disastri navali – l’incidente nel 1911 della nave Olympic, l’affondamento del Titanic nel 1912 sul quale prestava servizio come assistente di bordo, e quello del Britannic nel 1916, sul quale lavorava in veste di infermiera. Un evento terribile, che vide trenta persone fatte a pezzi dalle eliche rimaste in movimento. Tuttavia oltre 1000 persone sopravvissero al tragico e sfortunato evento.

Il Britannic indubbiamente costituisce per i subacquei una fonte di attrazione; viene definita da Andrea Alpini, istruttore subacqueo, la regina dei relitti. Andrea fa parte dell’unica squadra riuscita a portare a termine la discesa. Il gruppo, formato da cinque italiani, un francese e un taiwanese, ha sfidato forti correnti e condizioni meteo avverse per ripercorrere le tracce dell’esploratore Jacques Cousteau, che scoprì il relitto nel 1975. Oggi i diritti sul relitto sono detenuti dalla Britannic Foundation.


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