Non svegliate il cane che dorme!

Di Francesco Paolo Marco Leti – La dichiarazione che ha incendiato i mercati finanziari risale a martedì scorso ed è stata riportata in un virgolettato dal Corriere della Sera:

Salvini

Il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini

«Il 26 si vota per l’Europa. È fondamentale che gli italiani ci diano una mano a cambiare questa Europa mettendo al centro i diritti e il lavoro. Se servirà infrangere alcuni limiti del 3% o del 130-140%, tiriamo dritti. Fino a che la disoccupazione non sarà dimezzata in Italia, fino a che non arriveremo al 5% di disoccupazione spenderemo tutto quello che dovremo spendere e se qualcuno a Bruxelles si lamenta ce ne faremo una ragione».

Questa dichiarazione ha fatto esplodere la risposta dei mercati finanziari che, nel giro di qualche ora, hanno fatto sfondare – al differenziale fra il titolo nazionale e quello tedesco – la soglia dei 280 punti, fino a raggiungere e superare, il giorno successivo, quello dei 290. Non è stata una semplice fuga dai nostri titoli: il processo che si è innescato fra gli investitori è stato quello di una ricerca di asset “sicuri”, di una fuga dal “pericoloso” titolo italiano verso quello più sicuro d’Europa, ossia il Bund tedesco. Non è un caso che, contemporaneamente, tale titolo ha toccato il suo rendimento minimo sul mercato secondario degli ultimi mesi.

Le responsabilità del Ministro dell’Interno sono state confermate da due report del Monte dei Paschi di Siena e di Unicredit, che hanno imputato interamente alle parole di Matteo Salvini la fiammata. Gli altri membri del Governo hanno immediatamente preso le distanze, vuoi per ragioni di differenziazione politica durante la campagna elettorale incandescente – è questo il caso del Ministro Luigi Di Maio –, vuoi per necessità istituzionale, come ha fatto il Ministro Giovanni Tria cercando di rassicurare le controparti europee e i mercati.

Quello che preoccupa maggiormente è il riferimento, non tanto al rapporto deficit/Pil, quanto alla volontà di aumentare ulteriormente il rapporto debito/Pil, già cresciuto nel corso dell’ultimo anno. Al riguardo, le dichiarazioni che arrivano da Bruxelles non sono per niente positive ed evidenziano come l’Italia abbia ottenuto parecchia flessibilità con la manovra attuale e che non saranno concessi nuovi allargamenti del debito, già pericolosamente elevato.

A cercare di spegnere le tensioni sui mercati, prendendo le distanze dalle dichiarazioni del Ministro, è stata la Banca d’Italia che ha sottolineato come devono essere riprese le riforme per portare nuovamente il debito pubblico su un sentiero in discesa. L’Istituto di via Nazionale ha, inoltre, indicato come la crescita del differenziale comincia ad impattare sia su quella del Paese, sia sul tasso d’interesse richiesto alle famiglie che abbiano necessità di indebitarsi. Inutile sottolineare come uno sfondamento e una discreta permanenza temporale sopra il muro dei 300 punti avrebbe delle serie ripercussioni circa la capacità di rifinanziamento del nostro debito.

Banca d'Italia Palace in Rome

Banca d’Italia (Roma)

Il convitato di pietra di ogni discussione riguardo il deficit è la prossima manovra finanziaria. È notoriamente risaputo come questa debba ricercare i fondi per disinnescare le clausole di salvaguardia, le quali ammontano a circa ventitré miliardi, sette eredità dei Governi precedenti e diciassette della manovra dell’esecutivo in carica. Date le cifre di partenza, ci sarà poco spazio per i provvedimenti sponsorizzati dai due partiti al Governo, il principale dei quali – la flat tax – ha un impatto stimato di 15-18 miliardi.

Le soluzioni per chi guida la politica economica sono due: far scattare le clausole di salvaguardia, portando l’IVA al 25,5%, o fare l’intera manovra, compresa di copertura delle clausole di salvaguardia, in deficit. La seconda ipotesi comporterebbe il superamento della soglia del 3% del rapporto deficit/Pil e la contestuale crescita del debito pubblico. Quello del Ministro dell’Interno, dunque, sembra un preavviso delle future tensioni della manovra che coinvolgeranno sia le istituzioni europee, sia i mercati finanziari. Con lo spauracchio, agitato e temuto da molti, dell’Italexit o del “cigno nero”.