In alto i Foularet Yama

Di Martina Costa – Ogni anno in Tunisia, in media, assistiamo ad almeno due incidenti al mese dei cosiddetti camion della morte che trasportano in condizioni inumane lavoratori rurali. Si tratta quasi sempre di donne. Queste lavoratrici, considerate cittadine di secondo grado dallo Stato, sono le vittime dei campi.

Nell’ultimo drammatico incidente stradale, all’alba del 27 aprile, dodici persone, tra cui sette donne, che si stavano recando nei campi, sono morte (una tredicesima morì poco dopo) nella collisione di due camion. Viaggiavano sul retro di un camion, quando il mezzo si è rovesciato.

In un contesto rurale, molta della forza lavoro locale è impiegata a produrre ortaggi, frutta e legumi. Prodotti che arrivano poi freschi alle nostre tavole. Ci impegniamo a lavarli bene, ma il sudore e le le lacrime di dolore che lì vi si pongono, difficilmente sono rimovibili. 

Arse sotto il sole cocente o piegate da un freddo gelido, la mano d’opera ivi utilizzata è una delle più sottopagate del Paese. Le donne cominciano a lavorare spesso molto giovani e continuano fino a quando l’artrosi, le ferite, le mutilazioni lo permettono. Fino a quando la vita glielo consente. Con tre, quattro figli a carico, e un marito lasciato a casa malato o in cerca di un lavoro, cercano con tutte le loro forze di portare anche un piccolo tozzo di pane a casa. Donne non più in età lavorativa, di 65\70 anni. Donne dell’età di mia madre, che sfidando il gelo, il fango e il sole, con le mani sporche di terra e sanguinanti, costrette a pranzare con un tozzo di pane insabbiato. 

Le loro mani mutano forma. Logorate dal gelo e dal lavoro giornaliero, le falangi si rimpiccioliscono. Donne menate nell’anima. Donne che non hanno altra possibilità. Non hanno alcun’altra possibilità. Donne che rischiano tutti i giorni la vita. Donne che, consapevoli dei rischi che comporta, si svegliano ogni mattina all’alba e salendo sui camion della morte, cominciano la dose di tortura giornaliera. Donne abbandonate da un sistema cieco a queste ingiustizie.

La frequenza degli incidenti che coinvolgono questi camion in cui le donne vengono trasportate e stipate come animali, è confermata dai dati messi a disposizione dal Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux. Il 2019 si prevede essere uno degli anni peggiori. Solo nel 2019 circa 15 vittime e 60 feriti. Numeri agghiaccianti soprattutto se paragonati agli anni passati. In cinque anni, questo tipo di incidenti ha causato la morte di circa 40 persone.

Un trend dunque che non si arresta ma che sembra anzi aumentare. I feriti in questi incidenti sono centinaia (496 secondo i dati messi a disposizione). Feriti che devono sostenere cure mediche spesso inaccessibili, in strutture delocalizzate in regioni lontane e che restano spesso amputati o con danni permanenti che non gli permettono di continuare a lavorare.

Questo pesante tributo rivela una tragica dimensione delle condizioni scandalose in cui i lavoratori agricoli, principalmente donne, vengono trasportati e, più in generale, sfruttati. I lavoratori sono reclutati giorno per giorno da un intermediario che rappresenta il datore di lavoro. Sono poi stipati a decine in camion in cui viene versata dell’acqua per impedire loro di sedersi e guadagnare così più spazio. Il trasporto ha chiaramente un costo, che varia da 1 a 3 dinari (circa 1 euro), detratti poi dal salario giornaliero di 10\15 dinari (3\5 euro).

PickUp Tunisia

Questa modalità di trasporto primitiva risulta dunque vantaggiosa in termini di costi. Ma il problema non è limitato alle condizioni di trasporto. Un’indagine condotta dall’associazione La Voix d’Eve rivela che tra mille donne nel governatorato di Sidi Bouzid il 94% dei lavoratori lavora senza contratto, il 97% non beneficia di alcuna protezione sociale e che il 20% è minorenne.

Ma perché proprio le donne? I datori di lavoro preferiscono ingaggiare delle donne perché più “inclini” ad accettare lavori senza alcuna continuità (vengono infatti ingaggiate giorno per giorno), con salari minimi e condizioni lavorative inumane. Gli uomini sono prevalentemente reclutati con salari più alti per supervisionare. Senza attrezzature di sicurezza, trattano e respirano prodotti tossici che causano ustioni e problemi respiratori.

Queste tragedie rivelano le profonde disuguaglianze dei settori agricoli, soprattutto nel sud del paese, che minano la vita rurale tunisina. L’accordo di libero scambio (ALECA) con l’Unione europea, ancora in discussione, inasprirà la situazione di sfruttamento e le forti fratture territoriali tra le zone interne della Tunisia, prevalentemente agricole e prive di adeguati servizi, e quelle costiere, in cui si concentrano potere e ricchezza.

Prima di noi, sono le donne rurali a lavare i prodotti che noi consumiamo. Li lavano con le lacrime di chi non conosce un giorno di riposo. Di chi quella frutta la pianta e raccoglie ma non potrà mangiarla, perché troppo costosa da acquistare al mercato. Dov’è la dignità di queste donne? Se siamo in uno stato di diritto, dove sono i diritti di queste donne?

Dimostratori a Sidi Bouzid - AFP

Manifestanti a Sidi Bouzid (AFP)

A seguito della morte di 13 persone, dimostranti a Sidi Bouzid hanno issato la bandiera della rabbia (Foularet Yama: foulard di mia madre), incarnata nella sciarpa a fiori colorati che le lavoratrici usano per coprire il capo, per manifestare il loro sgomento per le compagne dimenticate.

Questa è la tragedia degli invisibili, la morte della civiltà a piccole dosi. Spettatori silenti di un femminicidio di Stato. Di quello Stato che fa in modo di non sentire le urla disumane di dolore delle compagne rimaste a piangere i corpi senza vita di madri, sorelle, amiche e lavoratrici. El mra erifeya meyta («la donna rurale è morta») e nessuno l’aiuta.


... ...